Visualizzazione post con etichetta PHOTARTS. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta PHOTARTS. Mostra tutti i post

giovedì 18 settembre 2014

Fabio Gatto ha fotografato Denzel Washington nel film:THE EQUALIZER



The Equalizer-Il Vendicatore è la storia di Robert McCall (Denzel Washington), un uomo che crede di essersi lasciato alle spalle un passato torbido per condurre un’esistenza tranquilla ma che dinnanzi alle minacce ricevute dalla giovane ed indifesa Teri (Cloë Grace Moretz) da parte di una banda di malavitosi russi, non riesce a stare a guardare e non può fare a meno di intervenire in suo aiuto.
McCall mette le proprie abilità al servizio di coloro che cercano giustizia e contro coloro che brutalizzano gli indifesi.

Per Denzel Washington la forza che spinge il suo personaggio Robert McCall ad agire in difesa dei più deboli è un innato senso di giustizia.
“Robert McCall ha alle spalle un passato di cui non è orgoglioso, ed ora è in cerca di redenzione” spiega Washington.
Ed è proprio il desiderio di redenzione che porta il suo personaggio a scegliere una vita tranquilla.
“Sarà l’incontro con una giovane indifesa, sfruttata e minacciata, a fargli cambiare idea” conclude l’attore.

Il regista Antoine Fuqua, che aveva già lavorato con Washington in Training Day, spiega come McCall sembri spesso rifarsi ad alcune gesta eroiche che si sono tramandate negli anni nella cinematografia; “ho considerato questo film come un ritorno al passato” spiega “c’è un antieroe che tendenzialmente è riluttante ad impugnare una pistola, ma quando ha la possibilità di aiutare gli altri, non esita a farlo.”
Denzel poi ha avuto sin da subito piena fiducia nel suo regista; “ha un grande talento” spiega l’attore “gli abbiamo mandato il materiale e l’ha accolto positivamente, ci siamo seduti a tavolino, ha tirato fuori molte idee… e il gioco è fatto.”

La pellicola si ispira all’omonima serie televisiva degli anni ’80 (trasmessa in Italia con il titolo Un Giustiziere a New York) e da questa riprende, come tema centrale, le gesta di un uomo altamente preparato, pronto a vendicare i più deboli.

Cloë Grace Moretz ammira profondamente il lavoro del suo collega Washington e afferma “c’è molto di Denzel nella sua interpretazione; è perfetto per il ruolo da protagonista.”
D’altronde essendo anche produttore, Washington ha lavorato incessantemente sulla delineazione del suo personaggio.

Fabio Gatto ha fotografato ANNA FOGLIETTA




 

lunedì 15 settembre 2014

Fabio Gatto ha fotografato MICHELLE RYAN




































Attrice inglese, conosciuta soprattutto per il ruolo di Nimueh, una potentissima strega e Grande Sacerdotessa dell'Antica Religione, nella serie televisiva inglese Merlin. Nel gennaio 2009 Michelle è stata scritturata nell'episodio speciale Planet of the Dead della serie Doctor Who. Ad ottobre 2014 debutta nel teatro del West End londinese, interpretando Sally Bowles nel revival del musical Cabaret, a fianco a Will Young.

Fabio Gatto ha fotografato JON KORTAJARENA

 
Jon Kortajarena Redruello (Bilbao, 19 maggio 1985) è un modello spagnolo. È stato l'uomo immagine di Just Cavalli, Bally, Etro, Trussardi e Tom Ford. Per l'ex stilista di Gucci, Tom Ford, ha recitato nel 2009 in A Single Man, in cui interpreta Carlos, un affascinante omosessuale spagnolo da poco arrivato negli Stati Uniti d'America. Il 26 giugno 2009, la rivista Forbes lo ha collocato all'ottavo posto nella classifica dedicata ai modelli maschili di maggior successo al mondo. Nel 2012 partecipa al videoclip di Girl Gone Wild di Madonna.

sabato 13 settembre 2014

Fabio Gatto ha fotografato Maria Rosaria Russo





 

 
Nata a Termoli, in provincia di Campobasso, Maria Rosaria Russo si è trasferita a Bologna all'età di 18 anni dove ha conseguito una laurea in economia e commercio, e contemporaneamente un diploma di recitazione teatrale. Ha recitato anche a fianco di Antonio Albanese nel film "Tutto tutto, niente niente".

venerdì 12 settembre 2014

Fabio Gatto ha fotografato Stefano Accorsi all'anteprima di: "La Nostra Terra"


Film riconosciuto di interesse culturale, tanto da guadagnarsi il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, La Nostra Terra è la storia di un modo tutto nuovo di combattere la mafia: una lotta fatta piantando pomodori e prendendosi cura della terra, quella che ci ospita e ci nutre.

 

Le vicende narrate, basate su fatti realmente accaduti, si svolgono nel Sud Italia e ruotano attorno ad un podere che viene confiscato dallo Stato quando il suo proprietario, Nicola Sansone, viene arrestato.

Il terreno viene assegnato ad una cooperativa che, dopo una lunga serie di più o meno dichiarati boicottaggi, riesce infine ad avviare un’attività di agricoltura biologica.

 

Filippo (Stefano Accorsi), che da anni si occupa dell’antimafia lavorando in un ufficio del Nord e quindi completamente impreparato ad affrontare la questione sul campo, viene incaricato di partecipare di persona alla costituzione della cooperativa.

Si tratta di un compito duro da affrontare, soprattutto per chi non sa cosa significhi dover combattere ogni giorno con la violenza di una setta come quella mafiosa.

Tuttavia, quello che inizialmente a Filippo sembra un ostacolo insormontabile e non meritato, si rivelerà poi una grande opportunità di crescita personale.

 

Personaggio chiave è Cosimo (Sergio Rubini), l’ex fattore di Sansone, il quale rappresenta senza dubbio il cuore di tutta la vicenda.

Inizialmente mostra fedeltà al boss e, da astuto doppiogiochista, riesce a sabotare il duro lavoro svolto nei campi dalla cooperativa; in un secondo momento, con un interessante colpo di scena, egli decide di mettersi dalla parte della legalità.

 

“Cosimo è l’esatta rappresentazione del Sud” spiega Rubini “un Sud che oggi viene visto come se fosse una cartolina; una brutta cartolina, quando viene dipinto come un luogo violento, o una bella cartolina, quando viene considerato accogliente. Tuttavia il Sud è molto di più, è ricco di sfumature; come d’altronde ognuno di noi: è tanto complesso quanto un essere umano”.

 

Una pellicola onesta, vera, che racconta fatti drammatici con una meravigliosa nota ironica che riesce ad arrivare dritta al cuore e alla mente del suo pubblico.

Ricca di spunti di riflessione, la vicenda raccontata vuole dimostrare come sia possibile combattere la violenza non più attraverso altra violenza, ma attraverso l’unione e il duro e onesto lavoro.

L’incontro/scontro tra Filippo e Cosimo ne è la dimostrazione e per entrambi rappresenta l’inizio di un percorso di formazione dal quale usciranno profondamente cambiati; da principio costretti ad una forzata convivenza, scopriranno invece che hanno molto da imparare l’uno dall’altro e dalla iniziale diffidenza passeranno, infine, ad instaurare una forte amicizia.

martedì 29 gennaio 2013

"L'ultima sfida" di Arnold Schwarzenegger.

         © Simona Gemelli

"Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell'uomo a prendere sul serio la propria persona". Questo aforisma di Hermann Hesse calza a pennello se confrontiamo una foto di Arnold Schwarzenegger oggi, con una del 1968.
La prima è stata scattata da noi in occasione dell'anteprima italiana del suo ultimo film: "The last stand - L'ultima sfida".
Arnold appare sorridente e scansonato, pronto a farsi immortalare dalle macchine fotografiche e ironicamente a farsi scattare una foto insieme ai fotografi da un suo collaboratore.

Ad accompagnare Schwarzenegger, i compagni di quest'ultima avventura: Jeffrey Nachmanoff e Jaimie Alexander. 



Una nuova pellicola sempre all'insegna dell'azione e dei colpi di scena. Il film è stato diretto da Kim Ji-Woon, primo lavoro in lingua inglese del regista sudcoreano. Arnold Schwarzenegger dunque ritorna sul grande schermo da protagonista, dopo aver concluso l'esperienza in politica come governatore della California.
A guardare la locandina, in cui un grosso mitra in azione prende quasi il 50% dell'immagine, ho la certezza che gli estimatori di Terminator non resteranno delusi nemmeno questa volta. 

giovedì 13 settembre 2012

ANTEPRIME CINEMA PHOTARTS

TANGO LIBRE dal Festival del cinema di Venezia per Photarts

 
Amore, passione e rigore. Cosa c’è di più intenso di un tango? Solo un amore impossibile, fatto di sguardi, di sensazioni, di contrasti.
Una donna e tre uomini, questa è la storia che si consuma dietro “Tango Libre”, il nuovo film di  Frederic Fonteyne, presentato, nella sezione Orizzonti, alla 69esima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.
Il regista belga chiude così una trilogia di film dedicati interamente all’amore, iniziata con “Una relazione privata” (presentato in concorso nel 1999) e “La donna di Gilles”; film dove la forza dei sentimenti svela gli animi.
JC (François Damiens) è una guardia carceriera, con una vita piatta, senza particolari entusiasmi, ma con un’insospettabile passione per il tango, concetto di seduzione per eccellenza, nel quale sfoga la sua vita di insoddisfazione e monotonia. Durante una delle lezioni serali, incontra e si ritrova per caso a ballare con Alice (Anne Paulicevich, anche co-sceneggiatrice), che rivedrà anche il giorno dopo presso la sala visita della prigione dove lavora.
La donna è infatti li  per ben due uomini: il marito Fernand (Sergi Lopez)  e l’amante Dominic (Jan Hamenecker), amici da sempre, finiti in prigione dopo aver ucciso una guardia durante un assalto ad un portavalori.
Questa la trama di un film ben scritto e ben recitato.
“Tango Libre” non è la classica storia di un menage a trois (che in questo caso sarebbe a quattro…), è una storia imprevedibile, che mostra bene le sue carte, sorprendente ed entusiasmante.
L’intreccio è drammatico, a tratti tragicomico; una storia dove altro protagonista indiscusso è il ballo, il tango, che fa da sottotesto alla storia , svelandone i significati più profondi.
La passione, il desiderio, il tradimento. Tutti elementi che concorrono a delineare una storia che mostra la fragilità umana davanti ai sentimenti, in un intreccio dove ad averla vinta è sempre l’amore.
Ballo e amore, una semplice accoppiata capace di dar vita ai più tormentati rapporti.

I GRANDI FOTOGRAFI

HENRY CARTIER-BRESSON



 
Henri Cartier-Bresson, uno tra i più convinti puristi della fotografia è nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup, 30 chilometri ad est di Parigi, da una famiglia alto borghese amica delle arti. Inizialmente si interessa solo di pittura (grazie soprattutto all'influenza di suo zio, artista affermato, che all'epoca considerava un po' come un padre spirituale), e diventa allievo di Jaques-Emile Blanche e di André Lhote, frequenta i surrealisti e Triade, il grande editore.
L'ansia che rode Cartier-Bresson in questo suo viaggio fra le immagini del mondo lo porta ad una curiosità insaziabile, incompatibile con l'ambiente borghese che lo circonda, di cui non tollera l'immobilismo e la chiusura, la piccolezza degli orizzonti. Nel 1935 negli USA inizia a lavorare per il cinema con Paul Strand; tiene nel 1932 la sua prima mostra nella galleria Julien Levy.



Tornato in Francia continua per qualche tempo a lavorare nel cinema con Jean Renoir e Jaques Becker, ma nel 1933 un viaggio in Spagna gli offre l'occasione per realizzare le sue prime grandi fotografie di reportage.
Ed è soprattutto nel reportage che Cartier-Bresson mette in pratica tutta la sua abilità e ha modo di applicare la sua filosofia del "momento decisivo": una strada che lo porterà ad essere facilmente riconoscibile, un marchio di fabbrica che lo distanzia mille miglia dalle confezioni di immagini celebri e costruite.




Ormai è diventato un fotografo importante. Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riesce a evadere dal campo e fa ritorno in Francia nel 1943, a Parigi, dove ne fotografa la liberazione.
Qui entra a far parte dell'MNPGD, un movimento clandestino che si occupa di organizzare l'assistenza per prigionieri di guerra evasi e ricercati.




Finita la guerra ritorna al cinema e dirige il film "Le Retour". Negli anni 1946-47 è negli Stati Uniti, dove fotografa soprattutto per Harper's Bazaar.
Nel 1947 al Museum of Modern Art di New York viene allestita, a sua insaputa, una mostra "postuma"; si era infatti diffusa la notizia che fosse morto durante la guerra.
Nel 1947 insieme ai suoi amici Robert Capa, David "Chim" Seymour, George Rodger e William Vandivert (un manipolo di "avventurieri mossi da un'etica", come amava definirli), fonda la Magnum Photos, cooperativa di fotografi destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo.



Dal 1948 al 1950 è in Estremo Oriente. Nel 1952 pubblica "Images à la sauvette", una raccolta di sue foto (con copertina, nientemeno, che di Matisse), che ha un'immediata e vastissima eco internazionale.
Nel 1955 viene inaugurata la sua prima grande retrospettiva, che farà poi il giro del mondo, al Musée des Arts Décoratifs di Parigi.



Dopo una serie di viaggi (Cuba, Messico, India e Giappone), dal 1966 si dedica progressivamente sempre più al disegno.
Innumerevoli, in questi anni, sono i riconoscimenti ricevuti, così come le esposizioni organizzate e le pubblicazioni che in tutto il mondo hanno reso omaggio alla sua straordinaria produzione di fotografo e di pittore.




Dal 1988 il Centre National de la Photographie di Parigi ha istituito il Gran Premio Internazionale di Fotografia, intitolandolo a lui.
Poco prima di raggiungere i 96 anni, è morto in Francia nell’Agosto 2004
 
 
 
 
fonti dal web biografieonline.it
le immagini sono soggette a copyright

lunedì 30 luglio 2012

I GRANDI FOTOGRAFI

GIANNI BERENDO GARDIN

Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930. È la seconda guerra mondiale che lo conduce verso la fotografia. Il suo inizio è un atto di sfida verso l'occupazione tedesca che, nell'Italia del '43, obbligava a consegnare alle questure, non solo le armi tenute nelle case, ma anche le macchine fotografiche. Lui, tredicenne, in un moto di ribellione adolescenziale, invece di far consegnare la macchina decise di andare in giro a fare foto. Uno zio ebreo, che viveva negli Stati Uniti, molto amico di Cornell Capa (figlio di Robert Capa) gli inviò un libro della Farm Security Administration (FSA). Era un reportage fotografico (tra il 1935 e il 1944), ben distante dal reportage ancora provinciale dei quotidiani italiani, che aveva l’obiettivo di testimoniare la situazione sociale ed economica degli agricoltori americani. Vi erano fotografie di Paul Carter, John Collier Jr, Jack Delano, Walker Evans, Dorothea Lange. Sono state le loro immagini a formare l’occhio di Berengo Gardin. Per caso, quando mostrò le sue foto a un amico in un bar, il redattore capo del giornale Il Borghese lo notò e gli comprò tutte le foto. Ma, se quello fu il primo "contatto", la sua carriera iniziò anni dopo.
Gli fecero da maestro le immagini dei reporter americani di Life, le stesse esperienze della Farm Security Society. Arriva a Parigi nel 1953, attratto dalle bellezze artistiche della capitale ma soprattutto dai grandi nomi della fotografia che quella città accoglieva. Resta nella capitale francese due anni, riprende ogni cosa con lo stile asciutto del reporter e senza nessuna traccia di edonismo, facendo sua la lezione dei professionisti d’oltralpe. A Parigi apprezzò Bresson, ed in generale tutti i fotografi della Magnum, e fece suo l'utilizzo del piccolo formato (Leica 35mm) per la semplicità e immediatezza d'uso.



Negli anni del Dopoguerra si trasferisce così a Venezia, dove entra a far parte del circolo fotografico La Gondola, fondato e diretto da Paolo Monti e, su invito di Italo Zannier, del Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia. Del 1962 sono i suoi primi lavori come professionista, con i quali, abbandonato ogni interesse per la "mondanità" della fotografia di moda e pubblicitaria, si dedica definitivamente al reportage, all'indagine sociale, alla documentazione e descrizione dell'ambiente.
Grazie ai numerosi volumi per il Touring Club Italiano e per l'Istituto Geografico De Agostini, documenta gran parte delle regioni e delle città italiane e diversi paesi europei.




Racconta con fedeltà e senza mai peccare di presunzione.
Le sue composizioni del reportages in Sardegna assecondano l’andamento della terra e i gesti dei pastori, mentre le sue visioni ci restituiscono l’altra faccia della verità sociale del tempo.
Immagini di un’isola sospesa nel tempo, sguardi in bianco e nero tra realtà e memoria.



Artisticamente nato nel momento neorealista, influenzato dal realismo americano, partecipe all'evoluzione visiva della cultura fotografica di mezzo secolo, Berengo Gardin si può iscrivere nel registro di quegli autori che hanno elaborato una fotografia capace di essere notizia e ricerca, documento ed arte, strumento di analisi sociale e storica. È lui ad essere, ancora oggi, tra i fotografi italiani più conosciuti al mondo.
Con oltre cinquanta mostre personali e un centinaio di volumi pubblicati, Gianni Berengo Gardin è ormai una delle maggiori personalità della fotografia internazionale. La qualità del suo lavoro ha ottenuto i riconoscimenti della critica più prestigiosa. E' stato infatti citato, unico fotografo, da E. G. Gombrich nel suo libro The image and the Eye (Oxford 1982) e da Italo Zannier nella sua Storia della fotografia italiana (Bari 1987) come "il fotografo più ragguardevole del dopoguerra". Cecil Beaton lo ha incluso nella mostra da lui organizzata nel 1975, dedicata ai geni della fotografia dal 1839 ad oggi. Nel corso degli anni collabora con le maggiori testate nazionali e internazionali (Domus, Epoca, L'Espresso, Time, Stern, Harper's Bazaar, Vogue, Du, Le Figaro ecc.).




Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall'architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d'immagine. Molte delle più incisive fotografie pubblicitarie utilizzate negli ultimi cinquant'anni provengono dal suo archivio. Procter&Gamble e Olivetti più volte hanno usato le sue foto per promuovere la loro immagine.



Gianni Berengo Gardin ha pubblicato oltre 150 libri di fotografia ed esposto le sue foto in centinaia di mostre che hanno celebrato il suo lavoro e la sua creatività in diverse parti del mondo: il Museum of Modern Art di New York, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, il Mois de la Photo di Parigi, le Gallerie FNAC. Nel 1991 una sua importante retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell'Elysée a Lausanne, e nel 1994 le sue foto sono state incluse nella mostra dedicata all'Arte Italiana al Guggenheim Museum di New York. Ad Arles, durante gli Incontri Internazionali di Fotografia, ha ricevuto l'Oskar Barnack-Camera Group Award. Nel luglio del 2005, in occasione a Milano dell’inaugurazione di FORMA, un spazio internazionale interamente dedicato alla fotografia, Gianni Berengo Gardin è stato scelto come autore per la mostra inaugurale con un’antologica sulla sua opera.




Il 18 ottobre 2008 gli è stato assegnato il premio Lucie Award alla carriera, quale massimo riconoscimento per i suoi meriti fotografici, mentre una personale in suo onore è stata allestita nell'autunno dello stesso anno a Palazzo Pichi Sforza di Sansepolcro (AR). Di notevole spessore i suoi scatti nello studio bolognese di Via Fondazza del pittore ed incisore Giorgio Morandi, ripubblicati in una raccolta uscita nel Gennaio 2009 a cura della casa editrice Charta. A Maggio 2009 all’Università Statale di Milano gli è stata conferita la Laurea honoris causa in Storia e Critica dell’Arte.
Ricordiamo che negli eventi del CCI è segnalata una mostra a lui dedicata, qui il link



Egli afferma che non smetterebbe mai di fare il fotografo per nessuna ragione al mondo. Perché crede di avercela nel sangue, la fotografia. Gli piace molto anche il rapporto con la terra. Zappare la terra, lavorarla e prendersene cura con lavori manuali. Forse perché incomincia ad essere non più tanto giovane e così gli piace fare quelle cose che prima ha trascurato. Qualche volta si domanda se non ho sbagliato tutto nella vita.
“Oggi abbiamo tutti la mania di voler accelerare la nostra vita, correndo dietro a mille cose, e perdendo il senso della pacatezza e della ponderazione”


fonti dalla rete:
wikipedia - museofotgrafia.it

lunedì 9 luglio 2012

ANSEL ADAMS

Ansel Easton Adams





Nasce a San Francisco il 20 febbraio 1902 in una zona vicina al Golden Gate Bridge, unico figlio di Charles Hitchcock Adams, un imprenditore di successo che possedeva una compagnia di assicurazioni ed una fabbrica di prodotti chimici e Olive Bray. All'età di 4 anni, in seguito al terremoto del 1906, cade e si frattura il naso, che resterà modificato nel suo profilo per tutta la vita. Non ama gli studi scolastici e nel 1914, a dodici anni, inizia a studiare pianoforte per abbandonarlo poi all'età di vent'anni circa. Nel 1916 una vacanza con la sua famiglia, segnerà per sempre la sua vita, Adams conosce lo Yosemite National Park. Era stato Abraham Lincoln 52 anni prima, nel 1864 a fare della Yosemite Valley il primo luogo degli Stati Uniti d'America ad essere stato dichiarato parco nazionale.



In occasione di quella prima gita gli viene regalata quella che fu la sua prima macchina fotografica, una Kodak Brownie, con cui Ansel Adams scatta le prime foto. La natura e la fotografia saranno da allora legate per sempre alla sua vita. La passione ambientalista traspare peraltro in tutte le sue opere, nel 1919 si iscrive al “Sierra Club”, una delle più antiche ed importanti organizzazioni ambientaliste degli U.S.A. Poco tempo prima era guarito dall'influenza chiamata spagnola che uccise 50 milioni di persone in tutto il mondo.



Nel 1927 Adams partecipa alla gita annuale del Club, nota come high trip. In quell'anno pubblica il suo primo portfolio: Parmelian prints of the high Sierra finanziato da Albert Bender conosciuto l'anno prima a Berkeley. Guadagnerà circa 4000 $. Nel 1928 all'età di 26 anni, si sposa con Virginia Best figlia del proprietario del Best's Studio che verrà ereditato dalla figlia nel 1935 alla morte del padre. Lo studio è oggi noto come Ansel Adams Gallery.



Sempre nel 1928 Adams diviene fotografo ufficiale del Sierra Club, ma non lascia la sua passione ambientalista e si dedica anche ad accompagnare le persone che partecipano alle escursioni, che a volte durano settimane, come assistente del direttore di gite. Ha 30 anni nel 1932 quando fonda il Gruppo f/64 allo scopo di riunire alcuni fotografi aderenti alla straight photography: John Paul Edwards,Imogen Cunningham, Preston Holder, Consuelo Kanaga, Alma Lavenson, Sonya Noskowiak, Henry Swift, Willard Van Dyke, ed Edward Weston. La f/64 rimandava alla minima apertura del diaframma dell'obiettivo che avrebbe consentito la massima profondità di campo e la maggiore accuratezza dei dettagli.




Nel 1934 entra nel Consiglio di Amministrazione del Sierra Club e ne resterà membro, insieme alla moglie per tutta la vita. È autore di molte prime scalate sulla Sierra Nevada. Le sue fotografie sono una testimonianza di come fossero molti di questi parchi nazionali prima degli interventi umani e dei viaggi. Il suo lavoro ha sponsorizzato molti degli scopi del Sierra Club ed ha portato le tematiche ambientali alla luce.
Le fotografie nel libro a tiratura limitata Sierra Nevada: The John Muir Trail, insieme alla sua testimonianza, hanno contribuito ad assicurare la designazione del Sequoia and Kings Canyon come parco nazionale nel 1940.




Adams fu addolorato dall'internamento dei nippo-americani che seguì l'attacco di Pearl Harbor. Gli venne permesso di visitare il Manzanar War Relocation Center nella Owens Valley, ai piedi del monte Williamson. Il saggio fotografico dapprima apparve in una mostra in un museo d'arte moderna, e più tardi fu pubblicato col titolo Born Free and Equal: Photographs of the loyal Japanese-Americans at Manzanar Relocation Center, Inyo County, California (Nati liberi e uguali: fotografie dei leali nippo-americani al centro di dislocamento Manzanar, Contea di Inyo, California).
Dedicatosi a immortalare in bianco e nero paesaggi e fenomeni naturali, nel 1946 vinse una delle tre borse di studio Guggenheim della sua carriera, ottenendo l'incarico di fotografare i Parchi nazionali americani.



Una delle sue opere più famose è Moonrise (1944; La luna sorge a Hernandez), realizzata nel New Mexico, emblematica di una straordinaria capacità di dosare la luce e far risaltare anche i più piccoli dettagli in ogni piano dell'immagine. Ad Adams si deve infatti la messa a punto del sistema a zone, che consente un controllo assoluto della gamma tonale in fase sia di esposizione sia di stampa e dà luogo a negativi molto equilibrati; inoltre, l'uso di apparecchi di grande formato montati sul treppiede gli permise di far meglio risaltare i dettagli grazie alla precisione dell'obiettivo, unita alla grana molto fine della pellicola.



Fu eletto nel 1966 membro dell'American Academy of Arts and Sciences. Nel 1980 il presidente Jimmy Carter lo insignì della medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile del suo paese.
Il Minarets Wilderness nell'Inyo National Forest venne ribattezzato Ansel Adams Wilderness nel 1984 in suo onore. Il monte Ansel Adams, una cima di 3.584 metri nella Sierra Nevada, prese il nome da lui nel 1985.
Morirà a Carmel-by-the-Sea, 22 aprile 1984.








Fonti dalla rete, le immagini sono soggette a copyright.
Sito ufficiale: www.anseladams.com

venerdì 6 luglio 2012

GRANDI FOTOGRAFI - GERDA TARO

GERDA TARO


Gerda Taro il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce da una famiglia di ebrei polacchi. Nonostante le sue origini borghesi, giovanissima entra a far parte di movimenti socialisti e lavoratori. Per questi motivi e per la sua origine ebraica l’avvento del nazismo in Germania le crea molti problemi.
Finisce in carcere in quanto attiva nel Partito Comunista tedesco e subito dopo decide di scappare con un amico a Parigi.
A Parigi conosce André Friedman, un ebreo anch'esso comunista, ungherese, che sbarca il lunario facendo il fotografo. André e Gerda si fidanzano e André le insegna ciò che sa sulla fotografia. Insieme, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, inventarono il personaggio “Robert Capa”, un fantomatico ma celebre fotografo statunitense giunto a Parigi per lavorare in Europa. Grazie a questo curioso espediente la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi.




Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, guerra che inciderà parecchio sulla vita dei due. Giunti in Spagna divennero immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage pubblicati in periodici come "Regards" o "Vu."
Nota fra le milizie antifasciste per la sua freschezza, coraggio ed eccezionale bellezza, rischiò sempre la vita per realizzare i propri servizi fotografici.
All’inizio il marchio "Capa-Taro" fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente i due divisero la 'ragione sociale' -CAPA- e André Friedman adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé.



Gerda realizzò, in un periodo in cui Capa era per alcuni giorni a Parigi per rapporti con le agenzie, il suo più importante reportage durante la battaglia di Brunete. All'inizio parve una grande vittoria repubblicana.
Il contrattacco franchista ribaltò presto la situazione e Gerda fu allora testimone dei selvaggi bombardamenti dell'aviazione nazionalista, scattando numerose fotografie e sempre con estremo rischio per la propria vita.
L'articolo che venne pubblicato sulla rivista “Regards”, diede un grande lustro alla reporter tedesca. Al ritorno dal fronte di Brunete, Gerda Taro perse la vita a causa di un terribile incidente.




Gerda viaggiava aggrappata al predellino esterno della vettura del generale polacco Walter Swierckinsky, colma di feriti; 'Walter' fu un noto Comandante delle Brigate Internazionali.
Ad un certo punto, degli aeroplani nazisti volarono a bassa quota sul convoglio repubblicano mitragliandolo, seminando il panico e provocando il caos fra i vari veicoli fra cui quello della reporter. Un carro armato repubblicano 'amico' urtò, nel trambusto generale, l'auto alla quale era aggrappata Gerda che cadde sotto i cingoli del tank, non morì immediatamente ma il giorno successivo dopo un’operazione effettuta in condizioni estreme nel vano tentativo di salvarle la vita, Gerda non perse conoscenza e durante i momenti di agonia, il suo pensiero andava alle amate macchine fotografiche.




Restò in vita e vigile sino all'alba del 26 luglio 1937; morì intorno alle ore 5 semplicemente "chiudendo gli occhi". Gerda aveva solo quasi 27 anni.
Il suo corpo fu traslato a Parigi e accompagnato da 200mila persone fu tumulato al Père Lachaise con tutti gli onori dovuti ad un'eroina repubblicana.
La sua tomba a Parigi, giace dimenticata nella zona di Pere Lachaise dedicata ai rivoluzionari ed alla Resistenza, vicino al noto 'Mur des Federès'.



Nel 1942 il regime collaborazionista fascista francese colluso con gli occupanti nazisti, 'censurò' l'epitaffio inciso sulla tomba di Gerda, epitaffio mai più restaurato. In oggi la tomba, date le modifiche accorse nel 1953, è accessibile da un viottolo posteriore, quindi posta "alla rovescio" rispetto a quando fu costruita.




Una leggenda del reportage di guerra, Gerda Taro, la prima donna che si è spinta sul fronte della Guerra Civile spagnola e ha lasciato lì la sua vita, a soli ventisette anni, travolta da un carro armato. È una storia molto triste quella della Taro che lascia un segno ancora più forte per le successive generazioni di donne, giornaliste e fotografe. Fino al giorno della sua morte Gerda ha rifornito le principali riviste dell’epoca di immagini sensazionali, spesso scattate insieme al suo compagno Robert.



Per amore del fronte si sono incrociate le vite dei due fotografi, ma la guerra non ha avuto pietà. Tra i due, in un primo momento, la macchina della guerra grazia Robert Capa che, dopo il secondo conflitto mondiale partecipa nel 1948 alla guerra d’indipendenza di Israele e alla guerra Francia Indocina del 1954
Il suo compagno Capa non si riprese mai più dalla morte della dolce e vivacissima Gerda, PRIMA DONNA REPORTER A MORIRE SUL LAVORO NELLA STORIA. Da allora anch'egli cercherà sempre la morte sul 'lavoro', incontrandola poi nel 1954 nella guerra di Indocina.
Un anno dopo la morte di Gerda, nel 1938, Robert Capa pubblicherà in sua memoria "Death in the Making", riunendo molte foto scattate insieme.




fonti e immagini tratte dalla rete, tra cui wikipedia e NYTimes, le immagini sono soggette a copyright