venerdì 29 giugno 2012

MANUEL ALVAREZ BRAVO


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nasce nel 1902 a Città del Messico da Manuel Alvarez Garcìa e Soledad Bravo. Figlio d'arte, eredita la passione per la pittura e la fotografia dal padre. A soli dodici anni abbandona il corso di studi regolare per lavorare come contabile al Dipartimento del Tesoro, chiamato ad aiutare la patria durante la Rivoluzione Messicana.

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Segue i corsi serali di Musica e Arte presso l'Accademia di San Carlos. Nel 1915 circa inizia a sperimentare con una macchina fotografica avuta in prestito dal padre di un amico, sviluppando le pellicole in una camera oscura di fortuna realizzata in casa.

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Il 1923 segna il vero incontro con la fotografia: Alvarez Bravo conosce infatti il fotografo tedesco Hugo Brehme, che lo convince a comprarsi un proprio apparecchio fotografico. Nel 1925 sposa Lola Martinez de Anda, che diventerà ella stessa fotografa e dalla quale avrà un figlio che seguirà le stesse orme dei genitori. All'inizio si dedica alla fotografia pittorialista, ritraendo conoscenti, ma presto la abbandona e rinnega, attratto da quel clima culturale ed artistico che permeava il Messico in quegli anni.

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Nel 1927 conosce Tina Modotti, grazie alla quale ritrae i pittori muralisti, e che lo convincerà nel '31 ad abbandonare del tutto il lavoro statale per diventare fotografo a tempo pieno. Gli anni '20-'30 sono per il Messico un periodo di grande fermento sociale ed artistico ed Alvarez Bravo ha la possibilità di conoscere e collaborare con figure di spicco del panorama messicano e non solo: frequenta e collabora con Frances Toor, Sergei Eisenstein, Luis Buñuel, Henri Cartier-Bresson e André Breton . Nel frattempo insegna fotografia alla Scuola Centrale di Arti Plastiche, e nel 1932 ottiene la sua prima mostra personale.
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Dopo un breve periodo negli Stati Uniti torna in Messico. Negli anni '40-'50 la fama di Alvarez Bravo è ormai consolidata, e lui si dedica ad una quantità di progetti:insegna fotografia e fa il cameraman al Sindacato dei Lavoratori della Produzione Cinematografica, apre un negozio di attrezzature fotografiche, insegna all’Istituto Cinematografico Messicano e al Centro Universitario di Studi Cinematografici. Avrà intanto altre due mogli: Doris Heydin e Colette Urbachtel, fotografa e sua collaboratrice.
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Riceve negli anni a seguire molti riconoscimenti, tra cui il Premio Sourasky nel 1974 e il Master of Photography Award dell’International Center for Photography di New York nel 1987. Passa gli ultimi anni della sua vita a Coyoacàn, vecchia città coloniale ormai entrata a far parte di Città del Messico, dove muore a 100 anni nel 2002.

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Fonti dalla rete: www.wikiartpedia.com, www.arte-mexico.com, www.artnet.com
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giovedì 28 giugno 2012

BERENICE ABBOTT



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(Springfield, 17 luglio 1898 – Monson, 9 dicembre 1991) è stata una fotografa statunitense.
Berenice Abbott nacque a Springfield, nell'Ohio dove crebbe con la madre divorziata. Iniziò gli studi alla Ohio State University, che però abbandonò agli inizi del 1918.
Nello stesso anno si trasferì con i suoi amici dell'università al Greenwich Village di New York, dove venne ospitata dall'anarchico Hippolyte Havel. La Abbott condivise una grande casa nella Greenwich Avenue insieme ad altre persone, tra le quali la scrittrice Djuna Barnes, il filosofo Kenneth Burke, ed il critico letterario Malcolm Cowley. Mentre studiava scultura conobbe Man Ray e Sadakichi Hartmann. Nel 1919 rischiò di morire a causa della pandemia di influenza spagnola.
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La Abbott si recò in Europa nel 1921, passando due anni a studiare scultura a Parigi e Berlino. In questo periodo adottò lo spelling francese del suo nome, "Berenice", su suggerimento di Djuna Barnes.
L'interesse della Abbott nella fotografia nacque nel 1923, quando Man Ray, che era alla ricerca di qualcuno che non sapesse assolutamente niente di fotografia e facesse quindi solo quello che gli veniva detto, la assunse come assistente alla camera oscura nel suo studio di Montparnasse. In seguito la Abbott scrisse: "Mi avvicinai alla fotografia come un'anatra si avvicina all'acqua. Non ho mai voluto fare niente altro." Ray fu impressionato dai suoi lavori e le permise di usare il suo studio.
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Nel 1926 la Abbott tenne la sua prima mostra personale (nella galleria "Au Sacre du Printemps") e avviò un suo studio, in Rue du Bac. Dopo un breve periodo passato a studiare fotografia a Berlino, fece ritorno a Parigi nel 1927 e avviò un secondo studio, in Rue Servandoni.
Nel 1925 venne introdotta da Man Ray alla fotografia di Eugène Atget. Divenne così una grande ammiratrice delle opere di Atget, più di quanto lo fossero Ray e la sua cerchia, e nel 1927 riuscì a convincerlo a posare per un ritratto. Atget morì poco tempo dopo. Berenice Abbott iniziò a documentare New York nel 1929.
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Nel 1935 la Abbott si trasferì in un loft al Greenwich Village, con la critica d'arte Elizabeth McCausland, con la quale visse fino alla morte di questa nel 1965. Le due collaborarono a un lavoro sostenuto dal Federal Art Project e pubblicato nel 1939 in forma di libro col titolo di Changing New York. Usando una macchina fotografica a grande formato, la Abbott fotografò New York City con la stessa attenzione ai dettagli e la diligenza che aveva appreso dalla carriera di Eugène Atget. La sua opera ha fornito una cronaca storica di molti edifici e isolati oggi demoliti di Manhattan.
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Lo stile diretto della sua fotografia aiutò la Abbott a dare un importante contributo alla fotografia scientifica. Nel 1958 produsse una serie di fotografie per un libro di testo di fisica per le scuole superiori.
Non solo la Abbott era una fotografa, ma nel 1947 diede anche vita alla "House of Photography", per promuovere e vendere alcune delle sue invenzioni. Tra queste un cavalletto per distorsioni, che creava effetti insoliti nelle immagini sviluppate in camera oscura, e la lampada telescopica, oggi nota da molti fotografi di studio come "autopole", alla quale le luci possono essere attaccate a qualsiasi altezza. A causa del marketing carente, la House of Photography perse rapidamente soldi, e con la morte dei due designer, la società andò a picco.
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Nel 1934 Henry-Russell Hitchcock chiese alla Abbott di fotografare due soggetti: l'architettura prebellica e l'architettura di H. H. Richardson.
Due decenni dopo la Abbott e la McCausland viaggiarono lungo la US 1 dalla Florida al Maine, e la Abbott fotografò le piccole cittadine e la crescente architettura legata all'automobile. Il progetto produsse oltre 2.500 negativi. Poco dopo la Abbott subì un intervento ai polmoni. Le venne detto che a causa dell'inquinamento dell'aria sarebbe stato nel suo interesse allontanarsi da New York.


Comprò una casa diroccata nel Maine per soli mille dollari e vi rimase fino alla sua morte nel 1991.
Il lavoro di Berenice Abbott nel Maine continuò anche dopo la fine di quel progetto e il suo trasferimento in tale stato, e produsse il suo ultimo libro A Portrait of Maine (1968).
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La fotografia della Abbott ha messo in mostra l'aumento dello sviluppo nella tecnologia e nella società. le sue opere documentano e lodano il panorama di New York. Tutto ciò fu guidato dalla sua convinzione che un'invenzione moderna come la macchina fotografica meritasse di documentare il XX secolo.
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Fonti: Wikipedia - MoCp
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mercoledì 27 giugno 2012

Globe Theatre di Villa Borghese


Parte la nuova stagione del Globe Theatre di Villa Borghese

Seguita per voi dallo staff di PHOTARTS

© foto di Fabio Gatto
proiettiIl 27 giugno parte la nuova stagione del Silvano Toti Globe Theatre, teatro elisabettiano estivo nel cuore di Villa Borghese. Il successo strepitoso delle stagioni precedenti ha ispirato Gigi Proietti, direttore artistico, nel pensare a una futura sede invernale; sogno che potrebbe ben presto diventare realtà. Protagonisti assoluti sono cinque spettacoli tratti da opere di Shakespeare che rispettano la struttura, le trame e la poesia del grande artista inglese e che sono interpretati da grandi attori, registi, traduttori e compositori per un risultato che comprende cultura, creatività e intrattenimento, tre priorità per la Fondazione Silvano Toti.
Si parte, dal 27 giugno al 1° luglio (e dal 27 agosto al 2 settembre), con "Fool. I comici in Shakespeare", diretto da Consuelo Barilari, tradotto da Masolino d'Amico e prodotto da Compagnia Schegge di Mediterraneo. Improvvisazione e comicità per i Fool che riempiono il Globe Theatre di musica, paillettes e risate senza uscire dalle opere shakespeariane; cinque opere per altrettanti Fool tra cui un irresistibile "Rosalindo" a cavallo tra cabaret e tradizione. Dal 4 al 15 luglio regna l'istituzionale "Sogno di una notte di mezza estate" diretto da Riccardo Cavallo e tradotto da Simonetta Traversetti; un'atmosfera onirica annuncia il risveglio della natura in un mondo multidimensionale di fate e spiriti, amanti e artigiani.
Riccardo Cavallo firma anche la regia di "Falstaff e le allegre comari di Windsor", tradotto da Filippo Ottoni, in scena dal 19 luglio al 5 agosto. L'attore toscano Ugo Pagliai, su intuizione di Gigi Proietti, è Falstaff: un personaggio vero e profondo, misterioso e malinconico, molto vicino all'anima novellistica toscana ben radicata nelle origini dell'attore che, forse, canterà anche. Il regista promette una versione fedele alla struttura originale con un finale che sorprende! Dal 9 al 26 agosto Giorgio Albertazzi interpreta "Giulio Cesare" diretto da Daniele Salvo e tradotto da Masolino D'Amico; tutto il mistero di un personaggio che, immerso nel tetro contesto di ricerca della verità, si incammina consapevolmente verso la morte. La stagione chiude con la messa in scena musicale di "Come vi piace", dal 7 settembre, che vede Melania Giglio e Daniele Pecci nei ruoli di Rosalinda e Orlando; diretto da Marco Carniti e tradotto da Agostino Lombardo è uno spettacolo incentrato sull'amore e sulla ricerca della propria identità sulle note del compositore Arturo Annecchino.
Forte del successo ottenuto lo scorso anno, la nuova stagione conferma i due laboratori di recitazione diretti da Daniele Salvo e Marco Carniti e la collaborazione con la vicina Casa del Cinema che proietterà ogni lunedì, giorno di riposo del teatro, i film degli spettacoli in cartellone in versione originale con o senza sottotitoli.

STEVE MC CURRY



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Steve McCurry (Philadelphia, 24 febbraio 1950) è un fotoreporter e fotografo statunitense, conosciuto soprattutto per il fotoritratto di Sharbat Gula, Afghan Girl, pubblicato come copertina del National Geographic Magazine del mese di giugno 1985, divenuta la più nota uscita della rivista.
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Membro dell’agenzia Magnum dal 1985, vincitore di molti premi fotogiornalistici (tra cui alcuni World Press Photo Awards) autore del celeberrimo reportage sulla ragazza divenuta icona del conflitto afghano sulle pagine del National Geographic nel mondo, Steve McCurry è uno dei maestri contemporanei del fotogiornalismo. Classe 1950, studia cinema e storia alla Pennsylvania State University.
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Inizia ben presto a collaborare come fotografo con un giornale locale. Dopo tre anni decide di recarsi in India per qualche mese e comporre il suo primo vero portfolio con immagini di questo viaggio.
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Si ferma invece due anni e, dopo la pubblicazione del suo primo lavoro importante sull’Afghanistan, collabora con alcune delle riviste più prestigiose: Time, Life, Newsweek, Geo e il National Geographic. Inviato su mille fronti di guerra, da Beirut alla Cambogia, dal Kuwait all’ex Jugoslavia, all’Afghanistan, Steve McCurry si è sempre spinto in prima linea.
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«Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te».

Ricordiamo che la mostra a lui dedicata a Milano, Palazzo della Ragione
(piazza Mercanti 1) è stata prorogata sino al 28 Febbraio.
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Le 200 fotografie frantumano il tradizionale rapporto con il visitatore. Il suggestivo allestimento di Peter Bottazzi propone metaforici rami di alberi in un’installazione appositamente pensata per Palazzo della Ragione. Il percorso espositivo di SUD-EST si compone di sei sezioni. Portraits. Silence and travel War Joy and life. Children. L’impianto della mostra si conclude con la sezione dal titolo Beauty. Qui s’incontrano tre immagini, una delle quali è il celebre scatto della bambina afgana dagli occhi verdi, diventata ormai un’icona della fotografia contemporanea. Le altre due sono anch’essi ritratti (una studentessa afgana con i libri in mano e una ragazza pakistana con uno scialle verde), che per il curatore testimoniano altre due icone femminili del nostro tempo attraverso l’opera di McCurry.

Fonti dalla rete. Le immagini sono soggette a copyright.

Il suo sito personale: www.stevemccurry.com

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The Amazing Spider-Man



© Foto Simona Gemelli
Udite udite: “Il cinema Adriano è intrappolato da una ragnatela gigante!”.
Il Red Carpet dell’anteprima di Spider-Man non poteva essere più suggestivo. Un’enorme ragnatela fatta di fasci luminosi sembrava intrappolare il cinema Adriano, e un uomo vestito di nero, con l’arte delle ombre cinesi, dava vita alla sagoma di un gigantesco e terrificante ragno.
È un uomo ragno diverso quello che troviamo in “The Amazing Spider-Man”, questo nuovo capitolo della saga di Spider-Man. I realizzatori volevano mostrare un lato di Peter Parker che il pubblico non aveva mai visto. Ed ecco infatti un film che ci racconta di come Peter, il giovane con problemi con le ragazze, impopolare al liceo e senza un soldo, acquistò i suoi poteri, si innamorò della sua compagna di scuola e venne in contatto con il Dottor Connors.
Ma nella sua semplicità il film è anche di grande impatto visivo. La proiezione rigorosamente in 3D assume particolare rilievo per gli effetti visivi speciali realizzati da Sony Pictures Imageworks Inc.
La pellicola per la regia di Marc Webb sarà nelle sale dal 4 luglio. È una rivisitazione della storia che tutti conosciamo. Protagonisti questa volta Emma Stone e Andrew Garfield, che spiega: "Abbiamo voluto dare più umanità e realismo al personaggio di Peter, perché ci si possa immedesimare di più mentre lo vediamo volare su per i grattacieli di New York, perché tutti vorremmo essere lui avendo stabilito un legame più umano. Peter è un eroe, non un supereroe, è questa la sua forza".
Ma è anche un nuovo capitolo più esistenziale, come racconta il regista. Peter Parker si farà tutte quelle domande che prima o poi nella vita ognuno si pone, specie se all’improvviso riesci a rimanere attaccato al soffitto e inizi a sparare ragnatele dai polsi. Chi sono? Da dove vengo? Perché sono stato abbandonato? Chi diventerò? Sono questi gli interrogativi che si snoderanno in questo nuovo capitolo di Spider-Man. Enigmi a volte solo sfiorati che oggi i seguaci dello storico fumetto della Marvel sono in fremente attesa di scoprire.
“Penso che il punto fondamentale per raccontare questa storia in modo diverso sia stato enfatizzare la relazione tra Peter e Gwen - racconta Emma Stone -, è bello vedere Peter che si innamora per la prima volta e sono felice che l’amore tra loro sia al centro dell’attenzione perché in un film, come nella vita, l’amore cambia tutto”.

martedì 26 giugno 2012

Puzzle

"Puzzle" l'ultimo spettacolo dei Kataklò, seguito da PHOTARTS

© foto di Fabio Gatto
kataklQuando si assiste ad una rappresentazione scenica dei Kataklò non si può che rimanere sempre stupiti ed affascinati da quanta energia, e non solo, si sprigiona sul palco. Questo accade, ovviamente, anche con il nuovissimo spettacolo “Puzzle” in scena al Teatro Olimpico dal 3 al 5 maggio, tre imperdibili date da tutto esaurito.
Sette danzatori sì ma al tempo stesso sette atleti (4 donne e 3 uomini:
Maria Agatiello, Elisa Bazzocchi, Riccardo Calia, Eleonora Di Vita, Silvia Proietti, Marco Ticli, Marco Zanotti) che mettono in mostra tutto il loro talento, la loro bravura, la loro incredibile forza fisica e comunicativa, in tanti frammenti di danza, proprio come i tasselli di un puzzle, che prende vita in quella che è la nuova creazione artistica di Giulia Staccioli, fondatrice, ideatrice e mente creativa dei Kataklò. È come se, ogni artista si scopra così essere un pezzetto di quel puzzle, un elemento essenziale che trova la giusta collocazione solo in un gruppo, in un orizzonte comune di creazione, dove tutti contribuiscono a completare questo meraviglioso quadro.
A far rimanere senza fiato il pubblico, fin dalla prima coreografia in scena, è questo pout-purry di acrobazie, accompagnate da colori forti, giochi di luci e ombre, oltre ad una musica sempre particolare e ben selezionata. L’elevata preparazione sia atletica che tecnica sta alla base del successo dei Kataklò, giunti ormai al 15° anno di attività, che fa della multidisciplinarietà il suo punto di partenza, fondendo insieme elementi della danza, dell’atletica, dell’acrobatica.
In questo spettacolo spesso, come spiega Giulia Staccioli, i ballerini stessi si divertono ad inventare la loro performance, diventando “danzautori”. “Puzzle” diventa quindi un luogo di condivisione, uno spazio aperto, un invito per lo spettatore a lasciarsi coinvolgere dalla passione e dalla creatività non del singolo ma del gruppo, dove si accostano coreografie storiche del gruppo e opere prime.
Uno spettacolo ancora una volta sorprendente, dinamico e veloce, capace di far emozionare e sospirare per la precisione, l'eleganza e la bravura di questi artisti, capaci ancora una volta di sorprendere con quanta naturalezza e semplicità eseguono queste complesse coreografie, coadiuvati anche di attrezzi spesso inusuali (come delle biciclette o degli sci ai piedi).

Francesca Nunzi in scena al Teatro Manhattan

L’anteprima dello spettacolo “Volevo fare la mignotta”, seguita da PHOTARTS.

© foto di Fabio Gatto
NunziUna musica, un misto tra inquietudine e serenità mi prende allo stomaco, il motivetto è ingannevole. Non so esattamente cosa mi aspetta. "Volevo fare la mignotta", questo il titolo, abbastanza eloquente, dello spettacolo a cui sto per assistere; Francesca Nunzi l'attrice, che ne ha curato i testi insieme al giovane Bernardino Iacovone, non so altro. Nessuno ne sa niente, eppure la sala è piena.
La donna, la figura femminile intorno alla quale gira un mondo, ecco il punto principale, le sue possibilità e le sue aspettative. Soldi, amore, potere. Una donna può tutto se sa giocare bene le sue carte. O almeno così dicono. Eppure per certe cose ci vuole una predisposizione naturale. Un'alta consapevolezza di se, e la capacità di mettersi in mostra, ecco gli elementi principali, senza tralasciarne però il lato ludico. Divertirsi nel mostrarsi, in fondo lo fanno tante donne.
La "mignotta", il mestiere più antico del mondo, perché? Che sia una decisione consapevole o meno, la scelta di darsi sembra quella vincente, lo era un tempo e forse lo è ancor oggi.
Un tema attuale, fortemente sentito che riempie la sala e che la diverte. Lo spettacolo può sollecitare numerose considerazioni, pensieri e riflessioni, e lo fa nel modo giusto, non forzato. Si ride e si ride tanto, anche li dove a volte dovrebbe uscire un sorriso amaro, un velo di tristezza; eppure la bravura di Francesca Nunzi fa sembrare tutto una bella storia, una commedia. Lei aveva tutto, eppure non le bastava. Una professione di rilievo, una rispettosa posizione sociale, un sostanzioso conto corrente e un loft nel quartiere della Roma Bene, eppure Francesca "Voleva fare la mignotta" .
Un titolo forte, come pochi, un' affermazione che non lascia dubbi o spazio all'interpretazione. Le musiche, di Jacopo Fiastri, in scena con la protagonista, fanno da sottofondo al racconto; una musica partecipativa, motivi diversi da cui la stessa attrice si fa prendere.
Molti applausi, che più volte interrompono la brava protagonista; una necessaria dimostrazione di approvazione, per dimostrare che chi paga il biglietto, chi sceglie il teatro in un momento di crisi economica, viene ripagato. E se la crisi dovesse farsi sentire troppo..?! Be’ in fondo quello della “mignotta” è un lavoro che non conosce ristrettezze…

ANNE GEDDES

ANNE GEDDES ... dalla parte dei bambini
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Anne Geddes è nata e cresciuta nel 1956 nel Queensland, in Australia. Inizia a fotografare verso i 25 anni e si orienta verso i bambini trovando che l'impostazione all'epoca corrente fosse rigida, convenzionale e non rendesse giustizia alla spontaneità dei soggetti.
Anne è sposata con Kel Geddes e insieme gestiscono la Geddes Group Holdings Ltd. In particolare Kel, forte di oltre 30 anni di esperienza nell'ambito televisivo, si è rivelato decisivo per le sue capacità manageriali, lasciando l'artista libera di continuare a occuparsi di fotografare.
Vivono tra l'Australia e la Nuova Zelanda e hanno due figlie.

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Le sue opere più famose sono essenzialmente ricche di colori pastello e luci soffuse. Tuttavia Anne Geddes ha sempre scattato anche in bianco e nero, una tecnica che ama particolarmente perché comunica semplicità, forza ed emozionalità del soggetto scelto.
Il contenuto emotivo dell'immagine é, secondo Anne Geddes, sempre prioritario rispetto alla scelta tra colore o bianco e nero: è l'elemento fondante dello scatto. La scelta del soggetto é, per Anne, anche fortemente influenzata dall'andamento del mercato e della percezione della gente comune rispetto a certi temi. In tal senso la Geddes si tiene costantemente documentata leggendo fino a 50 riviste al mese.

Anne prepara il set con grande cura e con attenzioni che posso richiedere settimane se non qualche mese per ottenere lo scatto definitivo. È fondamentale che ogni aspetto tecnico sia stato analizzato e risolto ampiamente prima che il piccolo modello o modella arrivi sul set. La disposizione delle luci, ad esempio, viene provata e riprovata con l'aiuto di bambolotti di formato reale. A fronte di una preparazione tanto accurata, il tempo dedicato agli scatti veri e propri è di pochi minuti.
Ancora adesso Anne Geddes scatta in pellicola e non in digitale.

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Gli scatti ricorrono molto raramente al fotoritocco ed Anne si avvale di numerosi stilisti e artigiani che creano appositamente tutto quanto il set richiede, sia come costumi sia come elementi a corollario. Data la delicatezza dei soggetti, particolare attenzione è dedicata alla loro sicurezza: i bambini sono spesso saldamente assicurati con cinture (come nel famoso scatto del bimbo con il costume da ape) e controllati a vista dal personale pronto ad intervenire poco fuori dall'inquadratura.
Nei primi anni della sua carriera Anne trovò che i bambini rendessero difficile programmare con tanta accuratezza lo scatto dal momento che sono, com'é naturale aspettarsi, imprevedibili.

Anne é, inoltre, autrice di diversi libri (Pure, Miracle, Cherished Thoughts With Love), di cui due sono diventati bestseller tradotti in 23 lingue: Down in the garden e Until Now.
Il suo ingresso come membro del NZIPP (New Zeland Institute Of Professional Photographers) le è valso una serie crescente di riconoscimenti del pubblico e della critica, ma i successi conseguiti non si limitano al NZIPP, infatti all' AGFA Photokina del 1992, ha vinto le sezioni "Open" e "People".
Nel Maggio del 1997, Anne è diventata membro ufficiale a vita del PPA (Professional Photographers of America).
Le sue immagini sono state pubblicate in molte riviste internazionali, come Time and Life Magazine, People ,Photo District News, Buzz, e PPA Magazine, ed è stata ospite di molte riviste europee e del sud-est asiatico.

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La fotografia continua ad essere la sfida maggiore della sua vita ed il suo impegno maggiore è quello di far accettare la fotografia di bambini come una forma d'arte al pari delle altre specializzazioni fotografiche.

Nel 1992, quando venne pubblicato il suo primo calendario, destinò una parte del ricavato alla lotta contro l'abuso di minori.
Con il passare degli anni, infine, fondò una ONG: il Geddes Philanthropic Trust. L'associazione si propone di prevenire e combattere la violenza sui minori in Australia, Nuova Zelanda, US e UK.

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Fonte : Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Lasciamo la parola all’artista con uno stralcio della sua intervista tratta da: photofinish.blogosfere.it

Cosa l'ha spinta a diventare una fotografa?
Da piccola ho sempre avuto il presentimento che il futuro mi avrebbe riservato qualcosa di speciale. Sono cresciuta negli anni ‘50 e ‘60 leggendo giornali come il National Geographic e Life e apprezzandone i contenuti fotografici. Quando avevo 18 anni andai in Nuova Zelanda per la prima volta e cominciai a scattare centinaia di fotocercando di osservare ed apprezzare le diverse sfumature della luce naturale. La mia passione per la fotografia da quel momento ha cominciato a crescere lentamente.Qualche tempo dopo mi sono sposata e finalmente, intorno ai venticinque anni, ho avuto il coraggio di trasformare la mia passione in un lavoro e ho cominciato a fare ritratti ai più piccoli: il mio scopo principale in quel momento era di catturare non l'immagine del singolo bebè ma la sua essenza.

Perché i bambini?
Adoro letteralmente i bambini! Per me i piccoli rappresentano la speranza. Sono così incredibilmente belli e come artista li trovo una fonte inesauribile di ispirazione. Sono loro i veri cittadini del mondo, senza nessuna traccia di preconcetti, odi razziali, rivalità politiche o intolleranze religiose. Dal primo momento che ho impugnato in modo professionale la macchina fotografica non ho desiderato fotografare altro! All'inizio della mia carriera la gente pensava che fotografassi bebè solo perché ero una donna. Altri fotografi mi dicevano che i bimbi non erano un soggetto artistico. Personalmente non riesco a pensare ad un soggetto più importante, gratificante e significativo!

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Cosa serve per rendere una semplice fotografia "arte"?
Secondo me una fotografia rappresenta una forma d'arte quando stimola chi la guarda a vedere il mondo in modo diverso, da un altro punto di vista. L'essenza di un bel ritratto per me è rappresentata dalla magia e dalla energia che ogni bambino riesce a trasmettere.

Cosa pensa che le sue immagini rappresentino per gli altri?
Molta gente mi dice che ogni mattina visita il mio sito per cominciare in modo positivo la giornata, e questo dimostra l'energia che c'è dietro i miei piccoli soggetti. Le nostre vite sono frenetiche e piene di lavoro e molti, me compresa, hanno il bisogno di trovare ogni tanto un momento di calma, equilibrio e relax. Spero che i bebè delle mie immagini riescano a portare un messaggio di speranza e positività per il futuro. I bambini parlano un linguaggio universale: in ogni parte del mondo il legame tra un neonato e la sua mamma ha la stessa identica forza!
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Nella sua vita professionale c'è un momento o un traguardo che l'ha resa fiera di quello che stava facendo?
Sono fiera del fatto che attraverso gli anni, dalla pubblicazione del mio primo calendario nel 1992, sono stata capace di contribuire ad attirare l'attenzione sui problemi dell'infanzia come l'abuso sui minori o l'abbandono. Mio marito, Kel, ed io attraverso il Geddes Philanthropic Trust, ci occupiamo attivamente dei problemi dell'infanzia nel mondo e seguiamo e sosteniamo diversi progetti di solidarietà. Tutto questo fa sentire me e mio marito capaci di fare qualcosa di concreto dove l'infanzia ha più bisogno.

Attraverso quale criterio sceglie i bebè da fotografare?
Ho lavorato per molti anni nel mio studio di Auckland, in Nuova Zelanda. Spesso i genitori stessi dei bimbi mi spedivano le fotografie dei loro figli e così non ho mai usato le agenzie specializzate in baby-modelli. Ho molti contatti con club di gemelli, associazioni specializzate in nascite multiple e con le famiglie numerose del mio paese. Mi capita spesso anche di ricevere telefonate di genitori direttamente dai reparti maternità degli ospedali... Una volta un papà mi ha telefonato tutto orgoglioso per propormi il suo piccolo come modello solo un ora dopo la nascita!
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Com'è il suo studio durante una sessione di scatti?
Molte persone mi dicono che si immaginano l'atmosfera del mio studio caotica e rumorosa, ma non è così! Di solito è tutto calmo e silenzioso in particolare quando fotografo i neonati. In sottofondo amo mettere musica classica quando lavoro, in particolare Mozart, perché lo trovo rilassante. Il mio studio ha anche una stanza solo per le mamme, completamente attrezzata, dove le signore possono rilassarsi e chiacchierare. Di solito prima di scattare spiego ad ogni mamma l'immagine che voglio realizzare ed insieme cominciamo a vestire con molta calma e dolcezza il bebè. Lo studio è aperto ai genitori che così possono seguire i loro piccoli durante tutta le sessioni di scatti. Lavoro con un team di persone di cui mi fido ciecamente e che conosco da anni, tutti specializzati nel trattare con i bambini di ogni età ed ai quali ho dato delle rigide regole da seguire. Io ed il mio team siamo coscienti della grande responsabilità che si deve avere lavorando con dei bambini così piccoli!

Come riesce a far dormire i bambini così profondamente?
Mi piacerebbe dire che ho un metodo infallibile e speciale per aiutare i bebè a dormire... ma non è così! I bambini che nelle mie immagini dormono sono tutti neonati che si addormentano con facilità quando hanno mangiato e sono in una situazione di totale relax. Una madre rilassata generalmente significa un bebè rilassato, così cerchiamo di fare di tutto per far star bene le mamme. Nello studio ci sono sedie a dondolo, una di queste è fotografata nelle prime pagine del libro. Di solito scatto di mattina perché ho notato che i bambini sono più "disponibili" nella prima parte della giornata.

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Questa è l'era della rivoluzione digitale in fotografia: come è cambiato il suo lavoro?
Essenzialmente non è cambiato nulla. Una bella immagine parla da sola sia se è stata scattata in pellicola che in digitale. Uso la macchina digitale solo per le mie fotografie personali, specie quando viaggio così non devo preoccuparmi che le pellicole si rovinino a causa dei metal detector negli aeroporti.

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ROBERT DOISNEAU

Essenza del reportage

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«Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere.
Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.» (Robert Doisneau) Maestro della fotografia, Doisneau è il rappresentante più famoso della cosiddetta "fotografia umanista", ossia quel tipo di sensibilità visiva che pone l'accento sulla condizione disagiata dell'uomo nella società. Nasce il 14 aprile del 1912 a Gentilly, un sobborgo di Parigi che segnerà profondamente la sua estetica e il suo modo di guardare le cose. Diplomatosi incisore litografo alla scuola di Estienne decide di abbandonare quella strada per gettarsi nella realtà viva e cruda delle periferie, dimensione che all'epoca nessuno considerava. Sceglie poi di utilizzare un mezzo d'espressione al tempo ancora guardato con un certo sospetto: la fotografia.
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Di fronte ad un quadro simile, in cui nella cultura ufficiale dominava l'ostilità e l'incomprensione per questo genere di produzione artistica, Doisneau tira diritto, spinto dalla sua voglia di guardare le cose da un punto di vista non convenzionale e profondamente convinto del valore documentale e artistico dello scatto. Negli anni trenta sceglie dunque definitivamente che quella sarà la sua strada. Lo sforzo maggiore è quello di donare dignità e valore alla fotografia, cercando di svincolarla da una considerazione meramente "professionale", occupandosi in primo luogo di soggetti che non interessavano a nessuno e che non avevano nessun valore commerciale. I suoi committenti di allora, infatti, si chiamavano Renault, Vogue, ecc. ma sono ben presto abbandonati in favore dell'Agenzia Rapho. La collaborazione con l'agenzia comincia nel 1946 e durerà tutta la vita, per quasi cinquant'anni, fino alla fine della sua vita.
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Soggetto privilegiato del fotografo: Parigi. Produce una serie di scatti innovativi, geniali e dominati da una forte carica umana: sono le immagini che lo hanno reso celebre. Quello che colpisce i fruitori e gli operatori del settore è che non si tratta di una Parigi convenzionale, quella che domina negli ambienti della pubblicità, della moda, dei giornali o del cinema ma è una Parigi di piccola gente, di arie di fisarmonica, di grandi e bambini, i cui sguardi trasudano umanità e tenerezza. Tra le produzioni di questo periodo si possono citare le celebri "Banlieues" tra le quali spicca la storica "Banlieue la nuit" del 1947, a quelle dedicate ai bambini: "Le dent" (1956), "Les Frères" (1934), "Les petits enfants au lait" (1932).
La sua opera più famosa è sicuramente "Le Baiser de l'Hôtel de Ville", dove due ragazzi si baciano appassionatamente noncuranti della folla. essa è, tuttavia, anche la più criticata poichè, per ammissione tardiva dello stesso artista, non fu frutto della fortuna del momento bensì concordata con gli stessi ragazzi. Questo non gli ha impedito però di essere battuta all'asta nel 2005 per la cifra astronomica di 155.000 euro.
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Inoltre, il suo modo di lavorare poco convenzionale e fuori dagli schemi della "professionalità" generalmente accettata, si dimostra anche nel suo stile. La sua carica interiore possiamo capirla ascoltando direttamente le sue parole: "un fotografo animato dal solo bisogno di registrare quello che lo circonda non aspira a ottenere risultati economici e non si pone i limiti di tempo che ogni produzione professionale comporta". Per lui la fotografia è prima di tutto un bisogno privato, un "desiderio di registrare", il soddisfacimento di una necessità che toglie al suo lavoro ogni elemento di calcolo e ogni ricerca di perfezionismo sterile. Le foto circolano prima tra le persone a lui vicine e vengono utilizzate dagli amici qualora ne abbiano bisogno.
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Parlando ancora del suo lavoro e dell'impulso che lo spinge a creare, in un'intervista si legge: "Vi spiego come mi prende la voglia di fare una fotografia. Spesso è la continuazione di un sogno. Mi sveglio un mattino con una straordinaria voglia di vedere, di vivere. Allora devo andare. Ma non troppo lontano, perché se si lascia passare del tempo l'entusiasmo, il bisogno, la voglia di fare svaniscono. Non credo che si possa "vedere" intensamente più di due ore al giorno".
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Il tempo, il suo dilatarsi e compenetrarsi con il suo essere fotografo è forse insieme all'istinto, una delle note dominanti del suo lavoro. L'artista preferiva essere definito poeticamente come un "pescatore di immagini" e sentiva la necessità di immergersi completamente nella realtà. Come in un suo tragico scatto, stavolta malriuscito, il grande fotografo scompare ultraottantenne nel 1994, avendo coronato il suo sogno, insieme ad altri eminenti colleghi, di dare un valore e una dignità alla fotografia che prima non aveva.
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da: Biografie on line
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