martedì 29 gennaio 2013

"L'ultima sfida" di Arnold Schwarzenegger.

         © Simona Gemelli

"Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell'uomo a prendere sul serio la propria persona". Questo aforisma di Hermann Hesse calza a pennello se confrontiamo una foto di Arnold Schwarzenegger oggi, con una del 1968.
La prima è stata scattata da noi in occasione dell'anteprima italiana del suo ultimo film: "The last stand - L'ultima sfida".
Arnold appare sorridente e scansonato, pronto a farsi immortalare dalle macchine fotografiche e ironicamente a farsi scattare una foto insieme ai fotografi da un suo collaboratore.

Ad accompagnare Schwarzenegger, i compagni di quest'ultima avventura: Jeffrey Nachmanoff e Jaimie Alexander. 



Una nuova pellicola sempre all'insegna dell'azione e dei colpi di scena. Il film è stato diretto da Kim Ji-Woon, primo lavoro in lingua inglese del regista sudcoreano. Arnold Schwarzenegger dunque ritorna sul grande schermo da protagonista, dopo aver concluso l'esperienza in politica come governatore della California.
A guardare la locandina, in cui un grosso mitra in azione prende quasi il 50% dell'immagine, ho la certezza che gli estimatori di Terminator non resteranno delusi nemmeno questa volta. 

sabato 24 novembre 2012

"Bullet to the head": nuova sfida per Sylvester Stallone.

© Simona Gemelli


C'è chi dice che il suo nuovo personaggio sia il migliore che gli sia capitato di interpretare negli ultimi vent'anni. 
Sto parlando di Sylvester Stallone e del suo ultimo film "Bullet to the head" che lui stesso ha presentato in anteprima mondiale al Festival Internazionale del Film di Roma insieme al regista Walter Hill.  
Nelle vesti di un criminale tatuato e muscoloso, "Sly" è protagonista di una pellicola in perfetto stile action movie americano, dove i personaggi non muoiono mai, i proiettili sono infiniti, le macchine sono sempre di grande cilindrata e non mancano di certo le esplosioni.

Diciamo che, chioma fluente a parte, negli anni Stallone - o meglio, i suoi personaggi - ha cambiato stile ma è rimasto sempre fedele alle origini.




sabato 29 settembre 2012

DIRECTOR'S CUT: OLIVER STONE

© Simona Gemelli

Oliver Stone nasce  a New York il 15 settembre 1946, figlio dell'ebraico Lou Silverstein, agente di borsa a Wall Street, e di Jacqueline Goddet una casalinga francese cattolica.
Il cinema non è entrato subito a far parte della sua vita se non per passione. Oliver lavora come tassista poi si iscrive a Yale ma abbandona l'università per imbarcarsi su navi mercantili dirette in Vietnam in veste di insegnante. Si arruola come volontario e combatte nella guerra in Vietnam dal 1967 al 1968. Rimasto ferito due volte in battaglia, si guadagna la medaglia al vaore.
Tornato a casa, influenzato dalla Nouvelle Vague e sotto la direzione di un maestro come Martin Scorsese, ha proseguito gli studi laureandosi a New York presso la University Film School.
Inizia a lavorare come regista nel 1971 scrivendo e dirigendo il cortometraggio sperimentale 'Last Year in Vietnam'. Nel 1978 si occupa della sceneggiatura del film 'Fuga di mezzanotte'.
L'anno 1986 sarà l'anno della svolta per Oliver Stone che riesce a sfondare grazie al racconto della vicenda Richard Boyle, ostinato reporter di 'Salvador'. Nello stesso anno, ottiene i massimi riconoscimenti e la consacrazione definitiva con il film 'Platoon'.Seguiranno numerosi film di grande successo come 'Nato il 4 luglio' con Tom Cruise nel 1989. Stone si conferma un cineasta ricercato e all'avanguardia, la caratteristica distintiva dei suoi film consiste nell'uso di una moltitudine di cineprese e formati, dal VHS alle pellicole da 8mm a 70mm e in uno stile aggressivo e polemico.
Tra il 1987 e il 1991, gira il corrotto 'Wall Street' ispirandosi al padre interpretato da un superbo Michael Douglas, la spettacolare opera-inchiesta 'JFK - Un caso ancora aperto', nonchè la psichedelica biografia di Jim Morrison in 'The Doors', in cui un giovane Val Kilmer interpreta in modo stupefacente il ruolo del mito del rock.Per il suo lavoro di regista, sceneggiatore e produttore, ha ricevuto 11 candidature all'Oscar, vincendo 3 volte con 'Fuga di mezzanotte' come sceneggiatore, 'Platoon' e 'Nato il 4 luglio' come regista. Di contro è stato anche candidato ai Razzie Awards nel 2004 e come peggior regista per 'Alexander'.
Insomma si può amare alla follia, oppure, detestare a dismisura ma lui resta sempre Oliver Stone, il personaggio più contestato e discusso di Hollywood.



"La belva" di John Travolta

© Simona Gemelli                                       John Travolta Oggi


John Travolta 1977


E' l'emblema di una generazione, conosciuto dal grande pubblico con un film che ha incassato più di trecentocinquanta milioni di dollari, un fenomeno cinematografico che ha dato il via ad una serie infinita di film ispirati alla musica e alla danza.
Lui è John Travolta, 51 film all'attivo in 58 anni di vita, sex symbol dagli occhi color ghiaccio e dal sorriso inconfondibile.
Il suo ultimo film è oggi nelle sale: "Le Belve" di Oliver Stone.
Tony Manero, il ragazzo di origini italiane che vive in un sobborgo di New York, si trasforma dopo 35 anni in un viscido agente della DEA a caccia di cartelli della droga messicani.
E' interessante lo sviluppo di una carriera intensa come la sua che dal ballerino della febbre del Sabato sera e di Grease, passa all'intrigante 'American Gigolò', al romantico 'Ufficiale e gentiluomo', continuando con lo scanzonato padre della saga di 'Senti chi parla' e trasformandosi nell'intoccabile Vincent Vega, storico personaggio del film cult 'Pulp Fiction'.
Una vita piena di emozioni, salti, eventi, fatti anche tragici come la morte del figlio sedicenne. E ancora la sua a appartenenza a Scientology che ha fatto molto discutere. 
Tutti tasselli di un personaggio discusso, amato, che rappresenta un vero pilastro della storia del cinema mondiale.

venerdì 28 settembre 2012

Le Belve di Oliver Stone

© Simona Gemelli
«È una storia di sopravvivenza - afferma il regista Oliver Stone, a Roma per il lancio del suo ultimo film 'Le Belve' tratto dal romanzo omonimo di Don Winslow -. Tutti fanno il loro gioco, ma a un certo punto si ritrovano costretti a compiere un salto in un’altra dimensione. Da 40 anni gli americani devono fare i conti con il problema della droga, spesso, però, si fa confusione nel decidere chi è il nemico, i cattivi non sono quelli che la usano, ma quelli che la spacciano». 
Personaggio chiave del film il sempre amato John Travolta che con il suo riconoscibile fare sarcastico afferma: «Il potere del cartello messicano della droga è illimitato e, a differenza della mafia, non risparmia nemmeno donne e bambini. Le guerre sono sempre alimentate dal denaro, questo è l’aspetto selvaggio della società in cui viviamo. E quando c’è una crisi economica tutto peggiora, perchè si pensa che i conflitti possano risolvere la situazione, e invece non è affatto così». 
Protagonista femminile la bella Salma Hayek che lancia un messaggio forte e deciso: «Non conosco una soluzione al problema del traffico di stupefacenti, ma spero che il film serva anche a far capire che ogni volta che si acquista droga, si partecipa a uno spargimento di sangue. Più che preoccuparci della violenza al cinema , dovremmo tenere gli occhi ben aperti e cercare di dare il nostro piccolo contributo. Se non riusciamo a capire che cosa sia utile per la comunità, tutti noi possiamo diventare selvaggi». Fieramente messicana Hayek spiega di conoscere perfettamente il fenomeno delle donne manager nel mondo del narcotraffico: «Ce ne sono tante, anche con ruoli dominanti, in genere sono diverse dai maschi perchè non sono influenzate dall’ego e tendono a evitare le guerre».
Che dire... "Le Belve si nascondono tra noi".

giovedì 13 settembre 2012

ANTEPRIME CINEMA

BAD 25, Spike lee racconta la leggenda al Festival di Venezia 2012 per Photarts
 
Alle cose che non sappiamo spiegare, diamo spesso il nome “miracolo”. Le cose che sembra impossibile siano accadute davvero, diventano spesso “leggende”. Attorno a pochi uomini si è creata la leggenda; attorno a pochissimi si è diffusa l'aurea del “superuomo”.
Michael Jackson era fra questi. Assieme all'uomo, il dio: non c'è nessuno che più di lui abbia raccolto attorno a sé la religiosa ammirazione di così tanta parte di umanità. Attorno a Jackson il culto, l'idolo, il limite dichiarato impossibile da superare. Non stupiscono dunque le ombre. Come in ogni religione l'integralismo è il passo falso che supera quel confine sottile fra devozione e sconvolgimento del verbo, tanto da ritrovarsi improvvisamente avvolti nelle tenebre peggiori anziché la luce, così su Michael sono andati sfumando i confini tra finzione e realtà. Un'umanità infine persa dietro l'esigenza di protezione, l'ossessione per la perfezione e la paura che l'ultima goccia d'intimità fosse risucchiata in quel vortice di attenzioni che l'uomo solo -non il dio- non poteva certo reggere senza deteriorarsi poco a poco da dentro.
Così, quando la Sony Records propone a Spike Lee (guarda caso, un altro che viaggia al confine con l'immortalità) di celebrare i 25 anni di “Bad”, l'album della “prova del nove”, dove Michael avrebbe dovuto confermare di essere il migliore riconfermando il suo talento dopo un diamante come “Thriller”, è chiaro che questa sarebbe stato probabilmente la migliore occasione per raccontare Jackson. Se c'era un atto di amore che l'amico e ammiratore (da sempre, dai Jackson Five) poteva mettere in atto, era certamente quello di trascurare la parte “umana” di Michael Jackson e lasciare che il “chi era” venisse narrato semplicemente attraverso le sue opere, il vero specchio dell'anima della leggenda. Così Spike Lee presenta alla 69esima edizione del Festival di Venezia un travolgente film-documentario, che sfida all'impassibilità, sfida a rimanere inermi sotto l'uragano che solo Michael Jackson era in grado di scatenare, avvolto da quell'energia che lo possedeva quando saliva sul palco, cancellando di colpo tutto il sudore, il dolore, la pressione che esercitava continuamente su sé stesso, in quell'estenuante ricerca della perfezione a tutti i costi. Non si accenna neanche ad un Michael Jackson privato (in fondo, è mai stato intimamente protetta la sua esistenza?  Ha mai davvero vissuto una dimensione privata?). Tutto è dichiarato, intensamente testimoniato, dal suo lavoro: i dietro le quinte, le collaborazioni, le realizzazioni di quei “micro film” che hanno contribuito a farne il re indiscusso del pop; le testimonianze di chi ha lavorato con lui, chi ne ha condiviso la fatica e il successo; di tanti amici e collaboratori: da Mariah Carey a Quincy Jones, da Sheryl Crow a Martin Scorsese.
“Bad 25” è molto più di quanto non possa essere descritto a parole, come Michael Jackson d'altronde.
 
 
 

ANTEPRIMA CINEMA

THE MASTER, dal Festival del Cinema di venezia per Photarts
 
Paul Thomas Anderson è senza dubbio uno dei più importanti produttori cinematografici degli ultimi anni. Uno di quei registi che non ha mai sbagliato un colpo (ricordate “Boogie Night”? O “Magnolia”?) con uno stile riconoscibile che la critica ha sempre apprezzato. Per questo se gli applausi non sono fragorosi o in sala qualcuno sbadiglia più del solito subito si parla di fallimento, di colpo mancato, della “decadenza di uno dei registi americani più importanti degli ultimi tempi”. Nulla di tutto questo.
Certo, “The Master” non è sicuramente il film epico di Anderson, ma non si può dire che il pubblico e la critica non siano stati conquistati. Non come altri lavori del regista, si deduce, ma comunque già si parla di Leone d’Oro e di Coppa Volpi per la migliore interpretazione.
I protagonisti del film, presentato alla 69esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, sono Philip Seymour Hoffman (attore amato da Anderson e presente spesso nei suoi film) e Joaquin Phoenix.
Siamo nell’America degli anni ’50, Freddie Quell (Phoenix) è un reduce di guerra che cerca di reinserirsi nella società, cosa non facile dato il carattere ribelle, che tra problematiche varie incontra un carismatico leader di una setta religiosa (Hoffman) con il quale vivrà un rapporto viscerale e del quale diventerà allievo. Molti i rumors nati, in primis il legame, secondo alcuni, con “Scientology” (associazione religiosa, filosofia religiosa o setta, che dir si voglia, fondata da L. Ron Hubbard nel 1954) anche se il regista ha detto chiaramente che il suo scopo principale, come in molti dei suoi lavori, è stato quello di raccontare il forte e passionale rapporto tra due persone, che nella seconda parte del film sfocia in un erotismo sottile che rende ancor più l’idea.
Un film che per molti rimane ancora da inquadrare, come anche uno degli attori che ne fa parte: Joaquin Phoenix, il quale durante la conferenza stampa ha fatto parlare di sé e di sicuro non in maniera positiva. Hanno fatto discutere, infatti, i suoi modi poco eleganti, la faccia visibilmente annoiata, le sigarette fumate nonostante il divieto e l’abbandono molteplici volte della conferenza; senza dimenticare i commenti legati al film: “Non penso che Paul mi abbia dato libertà, non so da dove provengano le nevrosi dei personaggi e neppure me ne importa”. Che Joaquin non si sia trovato bene sul set? Probabilmente non lo si potrà mai sapere, ma per avere una visione completa ed oggettiva del film, in Italia, dobbiamo aspettare l’11 gennaio, quando “The Master” uscirà nelle nostre sale distribuito da Lucky Red.