BAD 25, Spike lee racconta la leggenda al Festival di Venezia 2012 per Photarts
Alle cose che non sappiamo spiegare, diamo spesso il nome “miracolo”. Le cose che sembra impossibile siano accadute davvero, diventano spesso “leggende”. Attorno a pochi uomini si è creata la leggenda; attorno a pochissimi si è diffusa l'aurea del “superuomo”.
Michael Jackson era fra questi. Assieme all'uomo, il dio: non c'è nessuno che più di lui abbia raccolto attorno a sé la religiosa ammirazione di così tanta parte di umanità. Attorno a Jackson il culto, l'idolo, il limite dichiarato impossibile da superare. Non stupiscono dunque le ombre. Come in ogni religione l'integralismo è il passo falso che supera quel confine sottile fra devozione e sconvolgimento del verbo, tanto da ritrovarsi improvvisamente avvolti nelle tenebre peggiori anziché la luce, così su Michael sono andati sfumando i confini tra finzione e realtà. Un'umanità infine persa dietro l'esigenza di protezione, l'ossessione per la perfezione e la paura che l'ultima goccia d'intimità fosse risucchiata in quel vortice di attenzioni che l'uomo solo -non il dio- non poteva certo reggere senza deteriorarsi poco a poco da dentro.
Michael Jackson era fra questi. Assieme all'uomo, il dio: non c'è nessuno che più di lui abbia raccolto attorno a sé la religiosa ammirazione di così tanta parte di umanità. Attorno a Jackson il culto, l'idolo, il limite dichiarato impossibile da superare. Non stupiscono dunque le ombre. Come in ogni religione l'integralismo è il passo falso che supera quel confine sottile fra devozione e sconvolgimento del verbo, tanto da ritrovarsi improvvisamente avvolti nelle tenebre peggiori anziché la luce, così su Michael sono andati sfumando i confini tra finzione e realtà. Un'umanità infine persa dietro l'esigenza di protezione, l'ossessione per la perfezione e la paura che l'ultima goccia d'intimità fosse risucchiata in quel vortice di attenzioni che l'uomo solo -non il dio- non poteva certo reggere senza deteriorarsi poco a poco da dentro.
Così, quando la Sony Records propone a Spike Lee (guarda caso, un altro che viaggia al confine con l'immortalità) di celebrare i 25 anni di “Bad”, l'album della “prova del nove”, dove Michael avrebbe dovuto confermare di essere il migliore riconfermando il suo talento dopo un diamante come “Thriller”, è chiaro che questa sarebbe stato probabilmente la migliore occasione per raccontare Jackson. Se c'era un atto di amore che l'amico e ammiratore (da sempre, dai Jackson Five) poteva mettere in atto, era certamente quello di trascurare la parte “umana” di Michael Jackson e lasciare che il “chi era” venisse narrato semplicemente attraverso le sue opere, il vero specchio dell'anima della leggenda. Così Spike Lee presenta alla 69esima edizione del Festival di Venezia un travolgente film-documentario, che sfida all'impassibilità, sfida a rimanere inermi sotto l'uragano che solo Michael Jackson era in grado di scatenare, avvolto da quell'energia che lo possedeva quando saliva sul palco, cancellando di colpo tutto il sudore, il dolore, la pressione che esercitava continuamente su sé stesso, in quell'estenuante ricerca della perfezione a tutti i costi. Non si accenna neanche ad un Michael Jackson privato (in fondo, è mai stato intimamente protetta la sua esistenza? Ha mai davvero vissuto una dimensione privata?). Tutto è dichiarato, intensamente testimoniato, dal suo lavoro: i dietro le quinte, le collaborazioni, le realizzazioni di quei “micro film” che hanno contribuito a farne il re indiscusso del pop; le testimonianze di chi ha lavorato con lui, chi ne ha condiviso la fatica e il successo; di tanti amici e collaboratori: da Mariah Carey a Quincy Jones, da Sheryl Crow a Martin Scorsese.
“Bad 25” è molto più di quanto non possa essere descritto a parole, come Michael Jackson d'altronde.
“Bad 25” è molto più di quanto non possa essere descritto a parole, come Michael Jackson d'altronde.
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