Cosa potrebbe succedere ad ognuno di noi se all’improvviso l’equilibrio quotidiano, la nostra vita fatta di amici, lavoro, divertimenti, impegni diventasse inaspettatamente tutta un’altra cosa… Andrea, interpretato da Silvio Muccino che ne firma anche la regia, è il protagonista di questo viaggio emozionale nei percorsi più intimi della propria esistenza. Un ragazzo di 28 anni che scopre un senso nuovo della vita, che si lascia per un po’ alle spalle le agiatezze e la tranquillità per conoscere e avvicinarsi, senza troppa convinzione, ad un’esistenza completamente sconosciuta e nuova, fatta di sentimenti più reali forse, più naturali e spontanei. “Un altro mondo”, tratto dall’omonimo romanzo di Carla Vangelista, già autrice del libro “Parlami d’amore” che ha segnato l’esordio di Silvio Muccino regista, arriva sugli schermi dopo due anni di lavoro. Un periodo nel quale si è cercato di cogliere e raccontare la forza di una storia semplice, ma piena di significato: la diffidenza verso l’ignoto e verso una dimensione tutt’altro che cercata diventa incipit per un viaggio di trasformazione e di crescita, di presa di coscienza di tutto quello che di bellissimo ci può essere nella sola esperienza di vivere lontano dalle sovrastrutture più comuni, dalle categorie comode sulle quali ci si adagia per il solo timore di fare scelte diverse. Il film, interpretato tra gli altri da Greta Scacchi, Isabella Ragonese, Maya Sansa e dal piccolo Michael Rainey Jr, pone il giovane protagonista di fronte una realtà ignota: figlio di genitori separati, con una madre anaffettiva e incapace di dimostrare amore e un padre che non vede più da vent’anni e che in punto di morte gli chiede di raggiungerlo in Kenya. Ed è proprio qui che inizia l’avventura di Andrea che deve inaspettatamente decidere se far spazio nel suo cuore per il piccolo Charlie, il bimbo di otto anni e suo sconosciuto fratellastro di cui si scopre tutore legale, o proseguire la sua vita di sempre e tornare a casa, cancellando tutto. Il bisogno di una scelta, di un cammino che porta necessariamente ad indagare dentro se stessi, nelle proprie fragilità, negli angoli oscuri in cui spesso con razionale inconsapevolezza si sceglie di non voler vedere.
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