Quando una serie televisiva di successo approda al grande schermo, il film è quasi sempre più brutto. “Boris – il film” stravolge anche questa regola, regalandoci quasi due ore di ironia e autoironia, surreale e verosimigliante al tempo stesso. Il nostro eroe Renée Ferretti, ci ha già mostrato uno spaccato della “tivvù” italiana e la sua bravura nel lavorare con attori scalcinati e riluttanti prime donne, con una troupe al limite della follia; ha tentato e fallito nella sua utopia di fare una “televisione diversa”, cosa peraltro riuscita al trio Ciarrapico-Torre-Vendruscolo, ed è tornato alla cara vecchia fiction “de merda!”. Ma quando non riesce a girare la scena al rallentatore de “Il Giovane Ratzinger” dà di matto e abbandona tutto. Troupe, produzione, sogni e ideali, e anche i pesci rossi. E shockato di fronte al panorama cinematografico italiano, decide di cambiare, e di risorgere nuovamente. Al Cinema. Con un film di quelli impegnati, di quelli “[...] come Gomorra... che un po' se capisce, un po' nun se capisce niente...”Il film diventa quindi, come era stato già per la serie, un “meta film”, un film su un film. Diversi attori, diversa produzione, diversa troupe. Per ricominciare, o forse semplicemente cominciare, a fare vero cinema. Ma come in una pozione magica, la giusta alchimia si ha solo con gli elementi giusti, e vediamo quindi ricomparire sullo schermo i protagonisti: ecco scendere in campo Arianna l'assistente di regia, Biascica il capo tecnico, Duccio il direttore della fotografia. E ancora Corinna l'attrice “cagna anche in fotografia”, Alessandro e Lorenzo gli ex-stagisti, Itala la segretaria di edizione, Alfredo l'aiuto regia, e ovviamente Stanis Larochelle, il primo attore primadonna disposto a suicidarsi pur di avere una parte secondaria nel film. Infine gli immancabili tre sceneggiatori, caricatura degli autori e, per esteso, incarnazione del male, rappresentazione di tutti gli sceneggiatori di serie, oramai dediti interamente a perdere tempo lasciando ai ghostwriter il compito di soddisfare le richieste di registi e produttori.Ma a nulla valgono la troupe rinnovata ma sempre uguale, l'unico irripetibile sprazzo di buona recitazione di Corinna, o la presenza di grandi attori. A nulla vale il suo destreggiarsi tra i mille imprevisti e i mille problemi, la sua azione psicologica sugli attori per “rigirarseli” e farli lavorare come dice lui. A nulla valgono il placcaggio di Alessandro su Stanis per impedirgli di entrare di prepotenza nelle scene, gli escamotage di Duccio per ottenere una buona fotografia. Alla fine, dopo i mille imprevisti della sorte, e le mille magagne della burocrazia, ecco apparire la triste verità per bocca di un famoso attore ora impelagato in un cine-panettone: “Ho fatto teatro, ho fatto il grande cinema, ora faccio i soldi”.E mentre il pubblico all'anteprima lo esalta e ride di gusto, il suo sguardo allucinato alla visione di quello che ha creato è lo stesso nostro, degli spettatori: inorridito e shockato da tale banalità, da tale bassezza. O forse ancor peggio dalla consapevolezza che non è possibile una soluzione alternativa e che l'unico modo per fare un film di successo è abbassarsi al popolare film natalizio di volgarità e battute scontate.Anche se viene da pensare, come fu nella serie, che sia questo film l'unica riprova che fare cinema diverso, in fin dei conti, è possibile.
lunedì 14 novembre 2011
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