Dopo vent’anni, lo spettacolo “C’era una volta... scugnizzi”, torna al teatro Sistina di Roma con grande successo. Lo spettacolo, scritto da Claudio Mattone ed Enrico Vaime, esalta letteralmente la platea, che accompagna il musical cantando e battendo le mani a ritmo delle canzoni. I ragazzi della compagnia, benché giovani, hanno trascinato il pubblico dimostrando non solo di avere talento nel canto, ma anche nel ballo e nella recitazione. Tutto inizia con un flashback, un ricordo di vent’anni prima. Sulle quinte si proiettano immagini in bianco e nero di una Napoli lontana dalle scontate cartoline. Una città reale con tutti i suoi problemi. Nel carcere minorile vengono ambientate le prime canzoni, le prime immagini che rappresentano al meglio una gioventù già alle prese con i problemi “degli adulti”. I soldi, le donne e la posizione sociale. Colpisce da subito il linguaggio schietto, diretto. Non si cerca di “patinare” o rendere più dolce la realtà o il gergo della strada, lo si racconta e lo si canta per quello che è. I due ragazzini, i protagonisti della storia, si trovano lì, nel carcere minorile, e quando escono decidono di affrontare il mondo “di fuori” in modo del tutto diverso. Saverio, il personaggio principale, si fa prete, ed inizia a coinvolgere i giovani alla musica, al canto, allontanandoli, per quello che può, dalla strada e dai problemi. L’altro, Raffaele detto ‘O Russo (il rosso), prende invece la strada della malavita. E vent’anni dopo le loro strade si incontrano di nuovo. “Già da giovane tutti nel carcere mi rispettavano, mi temevano” dice ‘O Russo a Saverio, “solo tu no... che brutto carattere!”. Don Saverio toglie i ragazzi dalla strada, i “corrieri” dell’ex amico, facendoli cantare in una casa abbandonata, o meglio, occupata oramai dal sacerdote. Si arrangiano prendendo strumenti qua e là. E sul palco eseguono una delle canzoni più famose del musical. Dalla platea delle voci la cantano insieme ai giovani interpreti. Un assolo di “pentola” suonata come fosse una percussione strappa dei lunghissimi applausi. È una storia che parla di criminalità, di droga, ma anche di speranza. Si parla dei miti dei giovani tra cui la tv. Ma le loro canzoni, dice Don Saverio, non sono fatte per la tv, ma per noi, per imparare un po’ a vivere. Ma come dare questo messaggio? Quale linguaggio usare con dei ragazzi che hanno alle spalle tutto meno che la scontata infanzia? Altro problema che viene affrontato, tra balli e canzoni, è vero, ma che lascia degli interrogativi importanti. Scorci di strade proiettati sulle quinte fanno da cornice a temi come il pregiudizio, la paura verso lo straniero, superata “semplicemente” parlando. E guardandosi in faccia, come dice Don Saverio, e capendo che i napoletani, per “gli altri” fanno colore. E ancora, le morti sul lavoro, ed il mito del “cattivo”, incarnato da ‘O Russo, divenuto boss incontrastato della zona. Tra musiche e scene esilaranti, come l’inizio del secondo atto, un affresco di commedia napoletana che sembra uscito dalla penna di Eduardo Scarpetta, si toccano temi seri e complessi, ma è la chiave stavolta ad essere diversa. Si balla felicemente su canzoni che nei testi raccolgono parole di rabbia e speranza. La realtà, in “C’era una volta... scugnizzi”, la si legge questa volta con un occhio diverso, lontano dal “piangerci addosso”, come dice Don Saverio. E chissà, forse solo così, cambiando prospettiva al tutto, i tanti problemi affrontati possono essere combattuti dalle nuove generazioni
domenica 13 novembre 2011
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