lunedì 14 novembre 2011

GABRIELE LAVIA RECITA IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO

Il sottosuolo è quella condizione dell'animo umano perso nel buio del non-senso. È nel sottosuolo umido che giace quest'uomo ridicolo, lontano da tutti, deriso da ciascuno. Non ama gli uomini, anzi arriva a detestarli. Non più giovane smette di voler cercare un senso, al suo dolore, all'incomprensione nei suoi riguardi di chi lo circonda. Semplicemente non pensa, tutto gli è indifferente. Per gli altri è solo un uomo ridicolo; ben presto si convince egli stesso di non essere altro che un uomo ridicolo, ridicolo, ridicolo. In una notte di buio e nuvole nere a coprire il cielo già tetro, un'unica, minuscola stella a suggerirgli la soluzione: il suicidio. Una soluzione a dire il vero già meditata, ma sempre rimandata. Come si fa a decidere di lasciare il mondo senza aver trovato neanche una ragione per chiamarlo Mondo? Occorerebbe per lo meno sapere cosa si lascia. Nella sua poltrona “alla Voltaire” della sua misera stanza, l'uomo ridicolo non si uccide, ma precipita in un sogno dove finalmente egli vive di nuovo, forse per la prima volta veramente vive. Una verità antica sarà la sua conquista, sebbene -ahimè- egli per primo sa che questa verità è stata a lungo narrata, mille volte scritta e mille volte ancora dimenticata. Difficile mettere in scena un racconto non scritto per il teatro. Siamo di fronte ad un uomo quasi impazzito per il dolore, che racconta, a tratti sottovoce, a tratti concitato, ciò che ha vissuto e ciò che non ha vissuto ma solo sognato, eppure sentito così vivamente come niente nella sua vita reale. Un palco spoglio, elegante: il pianoforte e una sola sedia. Gabriele Lavia sa di andare incontro ad un compito non semplicissimo. L'uomo ridicolo di Dostoevskij vive in pagine antiche e forse solo l'occhio di un lettore attento può andare a trovarlo. Farlo vivere in carne ed ossa, assicurarsi che il suo narrare angosciato arrivi vivo al vasto pubblico che affolla la sala, sarà ardua impresa. Ma Gabriele Lavia trova la chiave. Racconta di come sia nato questo racconto, nel 1873, dalla mente geniale di un Dostoevskij tormentato e rilassa la sala con qualche sorriso riguardo all'incontro con Rita Marcotulli, conosciuta poco prima di andare in scena: il treno che l'ha portata a Roma da Parigi, tanto per cambiare, è arrivato in ritardo! Così si scusa se ci saranno imprecisioni durante lo spettacolo, ma di tempo per provare non ce n'è stato. Ebbene, seppur qualcosa è stato improvvisato, nessuno dei presenti potrà dirlo. Gabriele Lavia scompare; al suo posto, su quella sedia, l'uomo ridicolo. Questa è stata la chiave. Questa la magia di un attore che sa spogliarsi di sé, vestire non solo l'abito, ma la mente, il cuore, le preoccupazioni, l'animo del personaggio che interpreta. Gabriele Lavia, all'abbassarsi delle luci, è l'uomo ridicolo, tormentato e angosciato. Le note del piano simulano il gocciolare dell'acqua che gelida cade nella tomba in cui è sepolto nel sogno l'uomo ridicolo. Da quelle terribili gocce che inesorabilmente cadono, minuto dopo minuto, sull'occhio chiuso dell'uomo ridicolo, le note del piano si trasformano in una melodia sconosciuta. È il suono del mistero che cattura l'uomo ridicolo per portarlo in un'altra Terra, gemella alla nostra, dove egli rinasce e conosce degli uomini, a noi gemelli, sebbene puri e bellissimi nella loro innocenza. Un'esperienza inscatolata in viaggi e spazi che si sovrappongono l'uno sull'altro: la vita, la morte nel sogno, la vita nel sogno, ma in un diverso universo; ed infine la vita di nuovo, al risveglio dal sogno, con una verità da portare con sé e agli altri, seppur con la consapevolezza che noi, gli altri, non la impareremo neanche questa volta. Qual'è questa veritas? Qual'è la soluzione tanto agognata? La più semplice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non si tratta di religione, non è qui importante il verbo di Cristo né la dottrina di Dio. Questa dev'essere semplicemente la dottrina dell'uomo. Secoli di storia si sono sovrapposti su questa semplice rivelazione e per quanti abbiano provato a a sottrarla ogni volta dall'oblio, sempre altra sabbia l'ha ricoperta. L'uomo ridicolo lo sa, ne è consapevole, ma finalmente ha trovato un senso al suo essere ridicolo e il mondo non gli è più ostile, il mondo può ridere ora di lui, si. La rivoltella non gli è più necessaria, ha accettato il fatto che “sulla Terra noi possiamo amare solo con la sofferenza” e che “gli uomini inventarono la giustizia quando si resero colpevoli”. Egli conosce infine il segreto della bellezza: non rimane che raccontare. Anche il pubblico si desta improvvisamente come da un sogno. La pesantezza e l'angoscia di questo racconto trascina con sé un dolce risveglio, con un'esecuzione mozzafiato della premiata con il David di Donatello Rita Marcotulli. L'esperienza diretta della potenza del teatro e di due interpreti mozzafiato.

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