lunedì 14 novembre 2011

SOGNO D'AUTUNNO

La scena che si apre è immersa in un cimitero, lapidi ed iscrizioni tutto intorno, piccoli cumuli di terra che sembrano sbocciare, e un uomo, solo, in una giornata di pioggia. E poi una donna poco distante, sola anche lei. I due si incontrano nel cupo silenzio, terra di defunti, di persone che erano e non sono più. Parlano e si raccontano: in verità si conoscevano, ma non si vedevano da tempo; si piacevano, ma non lo avevano confessato; si amavano forse… Già, ma non l’avevano rivelato. Comincia un confronto serrato sulle loro vite, su cosa sia questa esistenza, su quanto si desiderino senza dirlo. Basta guardarsi e gli occhi fanno più di tutto il resto: parlano e si emozionano. Lei è impacciata, timida. Lui in apparenza più risoluto, ma infine più volubile. Quello che sembrava il presente diventa all’improvviso, con l’arrivo dei genitori di lui sul palcoscenico, il passato. Si apre un nuovo momento narrativo. La storia fa un balzo in avanti. Ormai sono passati degli anni da quando il protagonista l’Uomo, interpretato da Sergio Romano, ha lasciato la moglie ed il figlio per la storia d’amore con una nuova compagna, quella Donna, rivista per caso e in un modo così diverso, seduti su una panchina in un cimitero. E si ritrovano tutti in quello stesso posto stranamente: lui, lei, la madre ed il padre di lui, la ex moglie. Tutti lì in occasione del funerale della vecchia nonna. La tensione di rapporti ingestibili alle volte, l’ansia, il disagio emergono come in un’implosione, silenziosa, ma difficilissima. E ancora un salto temporale, ancora più avanti. Lui morto, il padre anche. E a restare su questa terra, strette in un abbraccio solido e sicuro solo loro, tre donne che “come le tre Parche, rimangono sole a protezione dell’imperativo della vita e dell’ordine delle cose”. Lo spettacolo tratto dall’omonima opera di Jon Fosse colpisce per la profondità con cui racconta e insieme per quel fare grottesco con cui si esprime. Frasi ripetute, quasi a ritornello, diluiscono e sospendono lo sviluppo concentrico della storia. Il fuoco è la ragione con cui si cerca di riflettere sull’uomo, sulla sua realtà, su quanto accada tanto e poi in fondo non accada nulla nella vita di ognuno. Tutti ci sono stati, ci sono, ci saranno e poi non saranno più. E di tutto questo rimarranno le case, le vie, i luoghi che verranno abitate da nuove persone, nuove vite. Un parlare che fa l’uomo presente nel qui ed ora, hic et nunc, ma che ha in sé il suo essere effimero fino a svanire senza lasciar traccia. Uno spettacolo intenso, che fa anche sorridere in certe occasioni in cui i toni si alleggeriscono. Bravi gli interpreti tutti.

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