lunedì 14 novembre 2011

LA LOCANDIERA

Il teatro è un luogo magico dove le cose già viste non sono mai uguali a se stesse, gli autori, gli interpreti, gli arrangiatori musicali, gli scenografi, attingono continuamente alla loro creatività artistica offrendo sempre nuovi spunti interpretativi. È per questo che un capolavoro della commedia italiana come La Locandiera di Carlo Goldoni benché già visto vale la pena di rivederlo ancora. E così può capitare di assistere ad una rilettura in chiave moderna molto interessante e divertente come quella proposta da Jurij Ferrini al Tetaro Vittoria di Roma dal 5 al 17 aprile. Il regista che si cimenta anche in veste di attore, ha voluto che ogni orpello superfluo lasciasse il posto al testo originale dell’opera. La presenza scenica degli attori e la loro immedesimazione nei personaggi, completano il resto. Disposti sul palco come ad una prova generale gli attori si alternano atto dopo atto, con il servitore del cavaliere che ricorda la successione delle scene e che suggerisce qualche parola. L’elemento temporale è suggerito dai costumi d’epoca stesi su un filo che delimita la scenografia e le valigie sparse qua e là danno il senso di transitorietà che è propria di una Locanda. Il minimo indispensabile ma davvero efficace per creare l’atmosfera entro la quale si svolge la vicenda. Divertente l’approccio con il pubblico chiamato in causa dal cavaliere misogino per ribadire le sue certezze, messe in crisi per la prima volta dalla seducente Locandiera. È infatti sull’infinita diatriba tra uomo e donna che il maestro della commedia italiana ha concentrato tutto il potenziale comico dell’opera, proponendo differenti caricature del genere maschile. Da un lato l’uomo che si offre con ogni mezzo per conquistare il cuore della prescelta e dall’altro l’uomo che fugge e non osa neanche avvicinare le donne perché pervaso dal timore di perdere la propria libertà. C’è poi però la donna che sa ammaliare con i suoi modi seducenti ognuno di essi e riesce a frantumare ogni convinzione e a rompere ogni indugio, insomma è sempre lei che muove i fili e che sceglie. Nulla di artefatto, o di esageratamente stravolto, tutto è concentrato sul canovaccio di Goldoni e sul suo linguaggio ricco di sfumature che accentua il carattere umoristico del contenuto. Lo stesso Ferrini sottolinea: “L’opera è uno degli indiscutibili capolavori goldoniani e a noi offre un canovaccio in lingua italiana, in una lingua particolare, ricca, calda, vitale, piena di sapore e spesso estremamente elegante; in questo senso, il nostro lavoro - che tenta di equi-distanziarsi dall’italiano disinvolto e annacquato che la televisione ci propina e da ogni manierismo teatrale – ritrova un materiale ricco di spunti comici e di improvvise virate ritmiche, di altalene melodiche e movimenti rapidi. Un gioiello.” Per tutti coloro che amano questo genere teatrale quella di Jurij Ferrini è senz’altro una versione davvero bella da vedere con un grande contenuto artistico.

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